American Born Chinese: tra entertainment e critica sociale
Ormai l’utilizzo della mitologia o della religione per creare storie d’avventura è una pratica consolidata nel nostro panorama artistico. L’abbiamo visto fare da Rick Riordan, che dalla mitologia greca (Percy Jackson) a quella norrena (Magnus Chase) ci ha immerso in un mondo in cui gli dei sono reali. L’abbiamo visto fare anche da serie come Warrior Nun (Netflix), che al contrario ha reso estremamente concreta la religione cristiana.
American Born Chinese (Disney+) parte da questo, ma non si ferma qui. Prende la mitologia cinese e vuole farci una classica storia d’avventura, ma ci aggiunge un dolce gusto fumettistico. Un gusto esplicitato più volte, a partire dalla passione dello stesso protagonista per i fumetti fino ad arrivare al parallelismo fra Kugo Ren Saga, la serie di fumetti immaginata dagli autori della serie basata appunto sulle divinità cinesi, e la vicenda narrata.
Il protagonista, Jin (Ben Wang), è un ragazzo normale, senza superpoteri e con tanti problemi adolescenziali; eppure si ritrova coinvolto in una guerra fra divinità, diventando la chiave per risolverla. La vicenda di American Born Chinese si divide in tre storie, che sembrano essere tanto slegate tra loro quanto indispensabili l’una all’altra. La prima è la vicenda scolastica del protagonista Jin, i suoi problemi a casa, la sua cotta, la sua passione per il calcio. La seconda è quella divina, le lotte fra divinità, gli spostamenti fra terra e cielo, i problemi relazionali fra queste creature mitologiche. La terza è invece la vecchia serie tv che inizialmente ci sembra essere solo un inserto comico, ma che poi diventa tutta un’introduzione al personaggio dell’attore.
Ci sono diverse tematiche trattate in American Born Chinese. Quella che ci colpisce maggiormente, perché ripetuta più volte, è la mentalità del “se vuoi qualcosa, prenditelo”. Parte con la madre di Jin, che incita il padre a prendersi la promozione che si merita, ritorna con i tentativi del protagonista di entrare nella squadra di calcio, ma si sposta anche nelle vicende divine, con le manovre di rivolta e quelle passate del Grande Saggio (Daniel Wu) per ottenere il suo attuale ruolo. Questa filosofia sembra non funzionare soltanto nel terzo contesto, dove l’attore della serie tv sogna di ottenere un ruolo da eroe, nel senso narrativo del termine, e non ci riesce perché cinese.
Qui entra sottile ma impossibile da non notare la critica al sistema hollywoodiano e probabilmente la ragione stessa della nascita della serie. Tutti i personaggi importanti di American Born Chinese sono cinesi, dando così un nuovo spazio all’Asia nel mondo del cinema. Non più spalle comiche, ma veri e propri eroi, e possiamo dire che tutti gli attori se la sono cavata egregiamente.
Nel complesso la serie funziona. È semplice e per un pubblico giovane, con qualche problema di ritmo, prevedibilità e coerenza nella caratterizzazione dei personaggi (ad esempio, né il protagonista né il suo migliore amico mostrano reazioni davanti alla scoperta che esistono delle divinità), ma fa passare bene i messaggi che si era prefissata.