Grand Theft Hamlet: un teatro virtuale dove Shakespeare incontra GTA
Sin dalle sue origini, il teatro è sempre stato legato profondamente all’idea della comunità. Nell’antica Grecia, infatti, il teatro faceva parte di celebrazioni religiose in cui tutta la comunità cittadina si riuniva per partecipare. Nei secoli a venire le rappresentazioni teatrali hanno anche avuto questa funzione aggregatrice nella comunità locale in cui esse si svolgevano, cosa che ha anche permesso la loro sopravvivenza nel tempo. Cosa succede, dunque, quando quella comunità non può fisicamente riunirsi a causa di una pandemia globale? A questo quesito Grand Theft Hamlet, documentario di Sam Crane e Pinny Grylls del 2024 distribuito da Mubi, risponde spostando la pratica teatrale in quello che è l’aggregatore sociale del villaggio globale: il mondo videoludico online.
Il documentario ha per protagonisti il già citato Crane e un suo collega attore durante il terzo lockdown britannico, nel 2021. Rimasti senza lavoro, i due, mentre si trovano sui server di GTA Online, hanno una brillante idea: allestire una rappresentazione in game dell’Amleto di Shakespeare. Il film segue dunque tutto il processo di produzione di tale rappresentazione come un vero e proprio documentario dedicato alla produzione di una grande opera artistica. La sola differenza tra Grand Theft Hamlet a quest’ultimo filone di produzione risiede nel fatto che nessun essere umano viene ripreso, vengono inquadrate solo figure digitali.
A metà strada tra la documentazione di un momento complicato delle nostre vite e l’esperimento cinematografico, Grand Theft Hamlet si presenta come un progetto molto affascinante non tanto per ciò che racconta (o almeno, non principalmente), ma piuttosto per le domande e le questioni legate al cinema contemporaneo che porta con sé. Il film, infatti, è interamente girato all’interno dei server di GTA Online, lo spettatore non esce mai dal mondo virtuale creato da Rockstar Games, la casa di sviluppo del gioco: tutto ciò che vede pertiene al mondo del virtuale, si allontana dal concetto oramai vetusto di profilmico. Cosa vuol dire, dunque, fare cinema in un’epoca dominata dal digitale? Come si relaziona la settima arte ad altre forme espressive e artistiche come il videogame e il teatro? Come può un film che non ha nessun essere umano al suo interno esser definito “documentario”? In che misura le limitazioni del videogioco – inquadrature da una prospettiva esterna o in soggettiva – modellano il linguaggio e le possibilità espressive del mezzo cinema? Come si relazionano tra loro un’opera teatrale che parla anche di “teatro nel teatro” e un mondo virtuale - che è di per sé rappresentazione, interpretazione, lettura dell’America - in cui si mette in scena un’opera teatrale?
Nel suo costruire una storia di passione per l’arte, di comunità che persistono anche quando non si possono incontrare dal vivo, Grand Theft Hamlet diventa anche una cartina tornasole di cosa la settima arte oggi può essere, in un’epoca in cui si può realizzare un film senza bisogno di una macchina da presa. Allineandosi al lavoro di altri autori – primo tra tutti Harmony Korine, da più di dieci anni oramai impegnato ad esplorare le possibilità del cinema nel momento in cui si ibrida con altre forme espressive -, Sam Crane e Pinny Grylls realizzano un’opera perfetta per i tempi del presente, in perfetta sincronia con l’estetica e le questioni che il post-cinema come categoria teorica ed estetica ha da offrire e porre.