In Vogue - The 90’s: L’ondata nostalgica si sposta di una decade 

 
 

Dopo la nostalgia degli anni Ottanta, ecco l’inizio di quella per gli anni Novanta. Già da qualche anno l’industria dell’intrattenimento ci stava preparando a questo passaggio, basti pensare alla reunion di Friends, ma non solo. Quest’anno gli Oasis hanno annunciato, con un tour mondiale, di essere tornati e a breve, per quanto riguarda il panorama italiano, uscirà l’attesissima serie Hanno ucciso l’uomo ragno di Sydney Sibilia sulla storia degli 883 per Sky. Così Vogue, che è sempre stato anticipatore di tendenze per l’industria della moda, anche questa volta coglie nel segno e presenta In Vogue: The 90s, la docu serie in sei episodi ispirata all’omonima serie di podcast di Vogue uscita nel 2020.

Fin dal trailer è chiaro l’intento di ripercorrere le inclinazioni degli anni Novanta, raccontando l'ascesa dei personaggi che hanno rivoluzionato i canoni estetici e artistici dell’epoca. Dalla narrazione ovviamente Vogue ne esce trionfante, ma senza risultare pesante. Infatti, ogni episodio si concentra su un particolare tema, con una importantissima ricerca di materiale d’archivio e Vogue rimane sullo sfondo. Infatti, la rivista è presente sostanzialmente perché sono proprio i suoi collaboratori a tenere i fili del racconto mediante l’uso di interviste. Di volta in volta si aggiungono nuovi protagonisti (da Naomi Campbell a Victoria Beckham, da Nicole Kidman a Tyson Beckford fino a Hillary Clinton) e così ogni episodio, seppur concatenato agli altri può esistere di per sé. 

In Vogue: The 90s è un’immersione nella cultura popolare anni Novanta, ovviamente lo fa dal punto di vista dell’immaginario che la rivista è riuscita a creare grazie ad Anna Wintour e ai suoi principali collaboratori, che hanno deciso di osare e scommettere su idee nuove e in controtendenza.

Come raccontano nel corso degli episodi, sono gli anni in cui si passa dalle top model, e quindi modelli di donne inarrivabili, a nuovi ideali di femminilità che vengono incarnati soprattutto dalla giovane Kate Moss. Infatti, fu lei la modella sulla quale Vogue scommise maggiormente per rispondere ai bisogni di una platea più giovane. Non vengono però nascoste le critiche a quel nuovo ideale di corpo che, per la sua magrezza, venne additato come qualcosa di malsano. Infatti, venne coniato il termine heroin chic per identificare in maniera spregiativa questo tipo di fisico alla Trainspotting, o alla Courtney Love e Kurt Cobain e di conseguenza le fotografie di moda e gli abiti che ne esaltavano i tratti.

Gli anni Novanta sono anche il decennio in cui si passa dall’alta moda elegante e raffinata, all’entrata in scena dello stile grunge che viene poi revisionato e diventa il grunge-chic che conosciamo ancora oggi. 

Inoltre, è il momento della nascita di alcuni giovani stilisti, soprattutto della scuola di Londra, come (Lee) Alexander McQueen e Stella McCartney, ma sono anche gli anni di Tom Ford, Calvin Klein, Tommy Hilfiger, Karl Lagerfeld, Ralph Lauren, Gianni Versace, Dolce & Gabbana, Giorgio Armani, e tanti altri importanti stilisti.

Il quinto episodio è molto interessante perché racconta dell’incontro tra questo tipo di cultura popolare, nel momento di maggior importanza per la globalizzazione, prevalentemente dominato da persone bianche, che si trovano ad affrontare il mondo dell’hip hop e quindi la moda di Harlem. Nell’episodio viene accennata l’importanza di Dapper Dan, il “Re del falso”, che, con le sue idee, dà inizio a quella che diventa poi la moda “ghetto fabulous”, fatta di vestiti larghi e completamente ricoperti di loghi iconici, dove tutto ciò che si esibisce esprime “ricchezza”. Così nasce il marchio FUBU (For Us By Us) che non rientra nelle categorie americane e neanche in quelle europee, ma è precisamente ideata e realizzata “da gente nera per gente nera”. 

Il lato positivo di quegli anni è che c’è spazio per tutti e il crossover tra le diverse discipline della moda, della musica, della fotografia, del cinema, del teatro e le icone pop è non solo accettato, ma per di più considerato subito, da quasi tutti, come geniale. Il gesto estremo ha un preciso scopo sociale e così è stato dato spazio alle nuove intenzioni. Come, ad esempio, Alexander McQueen che fu il primo a capire che la moda poteva essere intrattenimento e così non solo cambia il modo di presentare i vestiti con sfilate-cinematografiche, ma poi trasforma la moda in una performance artistica.

Infatti, o almeno  questa è l’idea che la docuserie porta avanti in ogni episodio, è proprio questa attenzione per la società giovanile e per gli altri campi dell’industria dell’arte e dell’intrattenimento che hanno condotto alle trasformazioni radicali degli anni Novanta.

Indietro
Indietro

Wolfs - Lupi solitari: Clooney e Pitt tornano, ma il risultato è fastidioso e dimenticabile

Avanti
Avanti

Full circle: ricreare equilibri affrontando i propri errori