Wolfs - Lupi solitari: Clooney e Pitt tornano, ma il risultato è fastidioso e dimenticabile

 
 

Correva l’anno 2004 quando nelle sale usciva il sequel di un film di successo (Ocean’s Eleven) che, pur essendo tutt’altro che un flop al botteghino, mandava a ramengo quanto fatto di buono nel primo capitolo. Protagonisti, come nell’originale, erano George Clooney e Brad Pitt, contornati da un supercast (da Catherina Zeta-Jones al nostrano Giancarlo Giannini), per un seguito che sembrava più una scusa, per attori e attrici milionari, di trovarsi sulle rive del lago di Como, nei dintorni di Villa “Clooney”, per divertirsi e intanto portare a casa qualche altro soldo. Un film, almeno per il sottoscritto s’intende, fastidioso come nient’altro, una sorta di dispendioso filmato delle vacanze, in cui la trama è solo un pretesto per mostrare un gruppetto di amici che sa di essere guardato e pensa di essere simpatico, ma che invece mette in piedi situazioni e battute che girano regolarmente a vuoto.

Vent’anni dopo, diretti da Jon Watts e non da Soderbergh, Clooney e Pitt, di nuovo insieme, rifanno un’operazione per molti aspetti simile: trama scarna, autoreferenzialità spinta a palla, e un sense of humour che, sempre per il sottoscritto sia chiaro, fa ridere solo loro che se ne riempiono la bocca. Certo, non sorprende che l’autore di un cinema mainstream come quello di Watts, legato alla Marvel con il suo Spider-Man ultra citazionista, porti avanti una narrazione di questo tipo. 
La sua sensibilità, come già dimostrato in Clown, sembra più a suo agio con un cinema che punta a colpire visivamente o a manipolare il pubblico, piuttosto che a sviluppare una trama sostanziosa.

In un’epoca in cui i grandi attori di Hollywood si stanno spostando sempre più verso le piattaforme streaming, con Apple TV+ che ospita questo film, ci si aspetterebbe un tentativo di rinnovamento o almeno una riflessione più consapevole su cosa significhi produrre un film di questo tipo nel 2023. Invece siamo di fronte a un’operazione che sembra pensata solo per compiacere un pubblico che si accontenta della presenza delle sue star preferite, senza curarsi troppo della sostanza. E qui sta la vera delusione: non tanto nella trama scarna o nel sense of humour fallace, quanto nel fatto che non ci sia alcuna ambizione di fare qualcosa di diverso o rilevante.

La trama segue i nostri due protagonisti “fixer”, sorta di tarantiniani Mister “Wolf” (guarda caso), che si trovano a collaborare per proteggere il buon nome dell’hotel da cui parte tutto e la carriera della protagonista (mah). Il giovane, di cui devono seguire le tracce, scappa e loro iniziano a inseguirlo fino alla risoluzione finale.

Disponibile sulla piattaforma della mela morsicata, Wolfs, che io ho avuto il (dis)piacere di vedere su grande schermo al Festival di Venezia (dove è stato presentato in una prima proiezione mattutina a cui ero andato), vi giuro, con le migliori intenzioni, è per me, lo avrete evidentemente capito, non soltanto un’operazione assolutamente non riuscita e totalmente dimenticabile, ma un vero e proprio fastidio per gli occhi, per la mente e per il corpo. È un prodotto perfettamente in linea con una certa estetica superficiale e autoreferenziale, sempre più frequente nel cinema di intrattenimento contemporaneo, dove il richiamo alle star e ai grandi nomi sembra ormai sufficiente per giustificare la produzione di opere che mancano di profondità.

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