Lola: il potere delle immagini

 
 

Di macchine del tempo se ne sono viste tante, dal congegno originale del romanzo di Wells all’automobile di Ritorno al futuro, dalla cabina telefonica di Doctor Who alla vasca idromassaggio di Un tuffo nel passato. Ma LOLA, l’apparecchio inventato dalle sorelle Thomasina e Martha, non è simile a nessuna delle precedenti. Non è forse nemmeno una vera e propria macchina del tempo, quanto più una specie di sfera di cristallo. Questo ingegnoso apparecchio riesce a proiettare sul suo piccolo schermo le trasmissioni del futuro.

Partendo da un espediente manzoniano, il film di Andrew Legge, ora disponibile tra gli inediti di RaiPlay, si apre con una scritta che lo presenta come una pellicola originale del 1941, ritrovata fortuitamente in Inghilterra. Da qui si apre una riflessione sia stilistica che tematica sul medium cinema, ma non solo. A sequenze realizzate appositamente per il film, ma con l’intento di emulare l’estetica dei filmati amatoriali in bianco e nero da 16mm, si alternano filmati d’archivio del periodo bellico e registrazioni di discorsi dei personaggi di allora, in un montaggio talmente serrato che non sempre risulta facile distinguere il confine tra fiction e foundfootage. L’utilizzo continuo di diversi tipi di supporto e di tecnologie ricorda molto la struttura di Dracula di Bram Stoker, in cui l’intera vicenda viene ricostruita attraverso una varietà di fonti mediali: telegrammi, pagine di diario, trascrizioni di registrazioni al fonografo.

Lola si presenta come una vera e propria celebrazione dell’audiovisivo, messa in campo non solo attraverso lo stile realizzativo, ma con un continuo gioco citazionistico che attinge a piene mani dalla storia della settima arte. Il macchinario, realizzato dalle protagoniste inizialmente solo per poter godere della cultura pop del futuro (la prima immagine che mostra LOLA è un’esibizione di David Bowie), diventa presto una risorsa per contrastare gli attacchi nazisti e il dilemma morale che ne consegue ricalca quello affrontato da Alan Turing e messo in scena in The Imitation Game. Non poteva mancare l’iconica scena della performance di una canzone dal futuro, che dall’originale di Ritorno al futuro è stata ripresa innumerevoli volte, anche fuori dal cinema (si pensi al videoclip di Ringo Star dei Pinguini Tattici Nucleari). Stanley Kubrick viene citato ben due volte, la prima con un semplice cartello (“Thomasina’s Rules of The game or how Thomasina Stopped Worrying and Learned to Work With Military Intelligence”) che rimanda al titolo completo di Il dottor Stranamore (Dr. Strangelove or: How I Learned to Stop Worrying and Love the Bomb). Il finale invece ricalca quello di Shining, con la foto rivelatrice.

Naturalmente la configurazione stessa della narrazione non permette una grande profondità nella caratterizzazione dei personaggi, dal momento che tutto quello che vediamo è mediato dalla presenza diegetica di un apparecchio di registrazione di cui i personaggi sono consapevoli. Questo limite può essere considerato anche una forza, dal momento che gli interpreti non sembrano essere in grado di sostenere delle scene emotivamente impegnative e la recitazione delle protagoniste risulta spesso poco convincente.

Lola è un prodotto di grande interesse non tanto per la vicenda in sé, che è comunque interessante ma non delle più originali, quanto per il modo in cui viene messa in scena e la riflessione potente sul mezzo audiovisivo che veicola. Il potere delle immagini è incalcolabile. LOLA è uno schermo e non mostra il futuro in maniera diretta, ma intercetta i frammenti di futuro che sono stati registrati. Le immagini del futuro hanno conseguenze devastanti sul presente di Thomasina e Martha. Non ci resta che chiederci quanto le immagini del passato possano avere conseguenze sul nostro presente.

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