Nous, etudiants!: uno spaccato di vita universitaria nella Repubblica Centrafricana

 
 

Con Nous, etudiants! (2022) disponibile su Raiplay, Rafiki Fariala si ispira al cinéma vérité di Jean Rouch per raccontare la vita e pensieri suoi e dei suoi amici. Siamo a Bangui, nella Repubblica Centrafricana, e il regista, Nestor, Aaron e Benjamin sono tutti iscritti all’Università nella facoltà di economia. Come in Cronaca di un'estate di Jean Rouch ed Edgar Morin (1961), l’idea iniziale diventa un momento per riflettere a più ampio raggio sulla realtà che circonda i protagonisti. Ognuno di loro sta avendo successo e difficoltà e si ritrova a combattere la società in un modo o in un altro. Scopriamo i problemi legislativi della Repubblica Centrafricana quando scopriamo che la ragazza di Aaron, ancora minorenne, è incinta e il giovane viene accusato di stupro dalla famiglia rischiando la galera. Per risolvere la situazione Aaron deve acquistare una capra, delle galline e altri generi alimentari alla famiglia offesa. Nestor è quello più in difficoltà, alla fine del semestre è l’unico a non aver superato gli esami e quindi dovrà rimanere un altro anno. Fin dall’inizio scopriamo che il sistema universitario non è così chiaro e regna la corruzione: le ragazze vengono avvicinate dai professori e se si rifiutano non riescono più a superare gli esami; i ragazzi, invece, non possono avere frequentazioni con le ragazze coetanee per non attirare ripicche da parte dei docenti, i quali a volte arrivano a chiedere somme in cambio del superamento degli esami.

Nel corso del film emerge più volte l’idea da parte dei protagonisti che qualcosa vada cambiato, che loro, i giovani, devono andare contro i vecchi che hanno saputo fare solo i loro interessi. Da una parte abbiamo i docenti che parlano di comunismo con tante belle parole, dall’altra ci sono i giovani che faticano ad inserirsi nella società, che vedono nell’università l’unico modo per poter uscire dalla vita dei campi o dei venditori ambulanti. Nestor è sicuramente il personaggio più interessante del film e ne diventa una sorta di protagonista tra tutti. Come nel già citato Cronaca di un'estate anche qui viene il momento di riflessione su cosa sia vero o non vero. Proprio Nestor si chiede ad un certo punto se non è solo un personaggio del film di Rafiki, e se non verrà abbandonato non appena sarà terminato. Soffre terribilmente il fatto di essere rimasto l’unico a non aver superato il corso e ha paura di perdere tutto e di non avere il controllo sul girato. Al dramma universitario e sociale si unisce quello di subire un parziale sequestro del carretto da parte della polizia, unico mezzo di sostentamento. Viene salvato grazie alle rimostranze degli altri ambulanti e dei passanti, ma parte della merce è andata perduta. 

L’ambiente di fondo su cui si poggia il film è palesemente cristiano (gran parte della popolazione è protestante o cattolica) e moraleggiante. Quando si parla ad un certo punto della possibilità di aborto per la ragazza di Aaron, le rimostranze degli amici sono forti. Una cosa del genere non è accettabile o possibile. Eppure emergono le contraddizioni quando esce fuori che un po’ tutti i ragazzi hanno più di una relazione in contemporanea. Le riflessioni, in generale, vogliono essere profonde e articolate ma non lo sono sempre come spesso capita nel contesto giovanile. Esse si diluiscono poi in momenti di totale distensione dove balli e musica la fanno da padrone. Rafiki Fariala è anche musicista e compositore e ha creato dei piccoli brani appositi. Il brano che torna più spesso invita il protagonista ad andare via perché ormai troppo vessato dalla società. Sarà proprio quello che deciderà di fare Rafiki alla fine del girato, perché il paese in cui vive non gli permette di diventare il regista che sogna di essere. 

Con Nous, etudiants! Fariala cerca di inquadrare la propria generazione e di riprenderla senza badare troppo alla qualità, come da  cinéma vérité, ma con l’intento di regalare allo spettatore momenti di quotidianità. La sensazione, alla fine, non sempre è che quello che stiamo guardando sia vero, del resto questo è il fulcro stesso dell’opera di Rouch e Morin, ma questo non toglie valore al documentario. Interessante tra l’altro la morale conclusiva in cui, a fronte di tante belle parole, alla fine l’idea è quella sì di speranza ma soprattutto di sconfitta: niente è cambiato e il regista dovrà addirittura emigrare per poter riuscire a realizzarsi

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