Pino, immagini di una vita d’artista

Solo un montatore avrebbe potuto realizzare un film come Pino (disponibile su Mubi). L’esordio alla regia di Walter Fasano – tra i montatori più talentuosi e celebrati del nostro paese, collaboratore storico di registi come Luca Guadagnino e i fratelli D’Innocenzo – datato 2020 è, infatti, un’opera documentaria che, in soli sessanta minuti, sfrutta al massimo le possibilità offerte proprio dallo strumento del montaggio per raccontare un’intera vita. 

Al centro del documentario, infatti, vi è la vita di Pino Pascali, artista poliedrico che, assieme ad altri nomi come Kounellis e gli artisti dell’Arte Povera, ha saputo rivoluzionare il mondo dell’arte italiana negli anni Sessanta con una lettura personale e originale dei temi della Pop Art sviluppati attraverso supporti artistici – scultura, fotografia, performance, persino pubblicità – molto diversi tra loro. Una figura complessa, umanamente e artisticamente, che il neoregista decide di raccontare solo attraverso fotografie e filmati d’epoca, scattati e girati principalmente da Pascali stesso e da Musi. Ad accompagnare tali immagini, tre voci narranti di donne – Suzanne Vega, Alma Jodorowsky, Monica Guerritore – inquadrano rispettivamente la vita, i pensieri e le trattative legali per la vendita delle sue opere.

Un documentario d’archivio a tutti gli effetti, quello di Fasano, che usa i suoi materiali per intessere il racconto del suo autore. Per restituire la personalità artistica e personale di Pascali, Fasano sfrutta pienamente il mezzo artistico del montaggio per restituire la verve e lo stile dell’artista barese. La stessa volontà di optare per il doc d’archivio ben si allinea, infatti, con la politica del riutilizzo di materiali inediti nel mondo dell’arte, riciclati e trasformati letteralmente in nuove opere in grado di leggere il mondo; la politica del gioco associata alla performance di Pascali si traduce, nella moviola di Fasano, in un approccio giocoso alla scelta dei materiali audiovisivi selezionati e del modo di assemblarli e associarli.

Pino, pur ereditando – o meglio, traslando – alcuni degli elementi caratteristici dell’opera del suo soggetto principale, manca tuttavia di ciò che ha permesso all’opera di Pascali di sopravvivere e fiorire in modo così importante nel corso della sua breve vita e in seguito: la trasgressione, la verve rivoluzionaria e sregolata, la vita movimentata e agitata. L’opera di Fasano, pur tentando attraverso un montaggio espressionista di divincolarsi da tale canone, non riesce veramente ad uscire dal canone del documentario informativo e divulgativo. Alla base del documentario, infatti, rimane la narrazione cronologica della vita di Pino Pascali, cui intervengono degli incisi in merito alle sue contemplazioni filosofiche e al futuro delle sue opere, vendute alla Fondazione Pino Pascali che ha prodotto il film stesso. Il gusto espressionistico dell’uso delle immagini si presenta solo come ancillare, dunque, a un approccio narrativo relativamente convenzionale rispetto al racconto di una vita di un “genio”.

L’aggiornamento del modello de La Jetée di Marker – evidentemente citata dalla pellicola – non si presenta dunque come così radicale o significativo da rimanere impresso alla fine della visione di Pino, da cui si esce sicuramente più informati rispetto a uno dei più grandi artisti del nostro Novecento che appagati da un punto di vista artistico.

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