The New Look: la ricerca della grandezza
“What a new look!” esclamò Carmel Snow, caporedattrice di Harper’s Bazaar quando nel 1947 assistette alla sfilata della prima collezione della maison Dior, nacque così il New Look, ovvero la nuova concezione di stile per la donna che voleva lasciarsi il passato alle spalle ed entrare a testa alta in una nuova epoca. The New Look è anche il titolo di una nuova serie targata Apple che di Christian Dior racconta gli esordi e la “rivalità” con Coco Chanel, dieci episodi che ripercorrono la nascita di un brand e la discesa di un altro, attraverso una visione alternata degli anni più bui della storia novecentesca, quelli della Seconda Guerra Mondiale e dell'occupazione di Parigi.
In un momento prolifico per la serialità sulla moda – Disney+ ha già lanciato la serie su Balenciaga e a breve approderà sulla piattaforma anche quella su Karl Lagerfeld – la scelta di Apple è quella di mettere a confronto due dei maggiori colossi dell’Haute Couture raccontando luci e ombre delle esistenze di personaggi mitici su cui si è scritto e detto tutto il possibile: Chanel (Juliette Binoche) è un nome affermato, l’incarnazione dell’emancipazione femminile, della classe, la creatrice del profumo – n°5 – che tutte le donne vogliono, intraprendente, scaltra, fascinosa e di potere, al contrario Dior è un uomo taciturno, insicuro, gran lavoratore, impiegato della maison Lelong. Cosa li unisce? La necessità di strappare un loro caro alla brutalità nazista: per Chanel il nipote André (Joseph Olivennes), per Dior la sorella Catherine (Masie Williams). La struttura circolare della serie ruota attorno a una domanda che nel 1957 viene posta a Dior durante un incontro con gli studenti della Sorbonne: “E’ vero che durante l’occupazione nazista mademoiselle Chanel chiuse il suo atelier e si rifiutò di fare abiti ai nazisti, mentre lei no?” Si srotola, così, il racconto parallelo delle due vite inquiete, dei compromessi e i doppi giochi, dei rischi corsi dagli stilisti per sopravvivere e salvare le persone più importanti della loro vita nonché fonti di ispirazione.
Tra le luci fioche degli appartamenti o delle stanze d’albergo, e il buio delle strade notturne si consumano rastrellamenti e si suggellano patti pericolosi; è così che Chanel diventa una spia e una collaborazionista in fuga, braccata dalla resistenza, proprio come Dior rischia di fare la stessa fine. Si delineano così due figure agli antipodi, anche se per forza di cose, il titolo stesso lo lascia presagire, è Christian colui che si prende la scena, con la sua fragilità e senso di colpa, con il bisogno di riportare a casa Catherine dai campi di lavoro e ridarle una normalità che per lui equivale all’uscire dalla crisi creativa. “Creavo per sopravvivere” dice Dior rivelando pubblicamente il segreto del suo lavoro, della sua arte in cui tutti, ad eccezione di lui stesso, credevano ancor prima della fondazione della maison. Per tornare alla domanda che innesca la narrazione, il lungo flashback ha la funzione di scavare sotto la superficie di un’apparenza che sembra conclamata, ma che, al contrario, nasconde risvolti inattesi che sovvertono le credenze comuni. Si giunge, dunque, alla decostruzione di un femminile coraggioso e impulsivo che gioca sporco esattamente quanto gli uomini che la condannano, ma che gode di meno fortuna a causa della sua avventatezza. Chanel, seppur rinascerà dalle ceneri del suo fallimento, viene eretta a grande sconfitta della storia, in balia di troppi imprevisti che la sua estrema sicurezza non le permette di esaminare abbastanza a fondo da poterli aggirare.
Seguendo l’insegnamento di Bertrand Bonello – regista dell’articolato e profondo Saint Laurent – The New Look non racconta la moda, quanto il sentire di chi la crea come un’opera d’arte che diventa riflesso delle emozioni e degli stati d’animo. L’indagine della psicologia dei personaggi, seppur curata, non è, però, sufficientemente approfondita, la narrazione tende a sgusciare fuori dai binari introspettivi per inabissarsi nei contorni della Storia. Un lasso di tempo ristretto eccessivamente dilatato, un’azione lenta che si abbandona nella monotonia di un alternato che perde la pregnanza dell’episodio pilota per ritrovarla solo nel finale. Il rischio è quello di suscitare noia e perdita di interesse nello spettatore che si adagia nel torpore di un meccanismo invariato e irritante che avrebbe potuto fare luce e dare spazio ad altri aspetti del carattere dei personaggi che vadano oltre il bisogno di ritrovarsi e il desiderio di successo. The New Look funziona meglio quando lavora in sottrazione, sui dialoghi, sulla gestualità e sui colpi di scena, non a caso il personaggio a risultare più riuscito è quello di Catherine che di parole ed esternazioni plateali ne ha poche ed estremamente misurate. L’agitazione imperante di Chanel e Dior (dimessa ma egualmente fastidiosa) oscura ogni possibile variazione di tono, agevolando l’addensarsi della monotonia.
Partendo dal presupposto che le produzioni statunitensi hanno la tendenza a semplificare e a raccontare la Storia per stereotipi che incentivano la lacrima facile, la serie Apple riesce a mantenere un decoroso equilibrio che non riadatta i fatti alle necessità produttive e che non distorce immagini e pensieri. Nella sua imperfezione si propone come un prodotto godibile che tenta di discostarsi il più possibile dalla retorica evidenziando lati nascosti degli intoccabili.