Barrunto e La hija indigna : figure paterne nel cinema delle donne sudamericane

 

È disponibile in streaming su MYmovies ONE proprio a partire dall’8 marzo (lasciando andare gli aspetti più frivoli della festa), una selezione di tredici titoli - di artisti affermati o emergenti - alternati tra documentari e fiction, su temi legati alla politica, alla maternità, all’identità di genere. O, ancora, ai rapporti familiari complessi e disfunzionali. 

Nell’argentino Barrunto, diretto da Maria Eva De Sanctis, il protagonista è Facundo, un bambino di dodici anni che passa le sue giornate a lavorare nei campi con il padre, piuttosto che a scuola. Una sera è a letto quando i genitori litigano, prova a tapparsi le orecchie per non sentire il rumore dei piatti che si rompono, ma non riesce a ignorarli. Poi vede qualcuno andare via. Il mattino dopo c’è solo suo padre (di cui ancora non si vede il viso, essendo il racconto a misura del bambino) e nessuna spiegazione; Facundo va a lavoro, sopportando le continue parole offensive del suo capo, obbedendo con paura di eventuali ritorsioni. Finalmente incontra una maestra - la prima a chiedergli come sta - che vorrebbe parlare con suo padre e consentirgli di frequentare la scuola, ma Facundo la ferma. Poi arriva il confronto (reale o immaginario ?) tra i due: il bambino - che ormai ha interiorizzato quella violenza - inveisce contro il padre, accusandolo di aver portato via la madre. Poi finalmente scappa. 

È una storia di sensi di colpa e brutalità quella di Barrunto (disponibile su MYmovies ONE in abbonamento per tre mesi), che tradotto è - appunto - indizio, segno, traccia. Come barruntos de culpabilidad: indizi di colpevolezza. Facundo crede di essere il responsabile della scomparsa della madre, vorrebbe mettersi sulle sue tracce, ritrovarla e riportarla a casa. Vorrebbe avere più forza del padre - persino più violenza - per sconfiggerlo, come se fosse un nemico da cui difendersi. Quei suoni amplificati dei litigi a cui ha assistito e del suo cuore che accelera il battito ogni volta che è agitato, lo ossessionano, non lasciando altra alternativa che affrontare quella crudeltà, piuttosto che continuare a subirla. Ma assorbire quei metodi e farli propri non significa (ugualmente, se non in misura maggiore) subire? 

Ed è ancora un nemico il padre nel documentario argentino La hija indigna, diretto da Abril Dores. A raccontare è Analía Kalinec, partendo dalla sua infanzia, in cui capitava di non vedere spesso il padre, perché lavorava molto. Era presente già all’epoca, però, il sospetto che avesse qualcosa da nascondere. Ora che è adulta (ed è diventata una maestra e una psicologa) riesce a descrivere suo padre: un uomo capace di commettere i peggiori crimini senza assumersi mai la responsabilità. È stato arrestato - ed è tuttora in carcere - per aver commesso crimini contro l’umanità, per aver torturato, sequestrato e assassinato migliaia di persone. 

Analía si chiede - illudendosi - se possano esistere due versioni di suo padre. Quello di infanzia, che si rifiuta di abbandonare e a cui non vuole rinunciare, e poi quell’uomo, se è possibile definirlo tale. Un giorno può, se non redimersi, quantomeno rendersi conto? Quello che muove questo desiderio è il vincolo di figlia, è un’immagine - seppur illusoria - che vorrebbe preservare. Perché è stata reale, un tempo, prima che scoprisse la sua identità e diventasse suo oggetto di studio. Analía, infatti, analizza suo padre, provando a mettere insieme tutti quegli indizi che da bambina aveva ignorato: nelle foto non si faceva mai ritrarre in volto, aveva delle manie di persecuzione, ordinava alla sua famiglia di nascondersi e non farsi notare. Suo padre era un uomo “a cui non entravano proiettili”, forte, invincibile. E impunito, almeno nei suoi progetti. Lei, invece, è stata dichiarata indegna, per non aver compreso e giustificato le sue azioni.

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