Bessegato serial universe
C’è un prima e un dopo Skam nel panorama della serialità italiana. Un prima di fiction rigorosamente classiche, fondate su modelli drammaturgici consolidati, che strizzano l’occhio alle produzioni della premium tv d’oltreoceano; un dopo di nuovi formati, radicati nella contemporaneità, aperti alla multi-funzionalità delle piattaforme e dei nuovi paradigmi dello storytelling. Un passaggio che è stato facilitato dal successo della serie cult, prodotto di schietta attualità capace come pochi di parlare il linguaggio del pubblico a cui si rivolge.
La versione nostrana di Skam è basata su un originale norvegese, divenuta nel tempo il principale modello delle narrazioni teen della streaming era – con tanto di rifacimenti di diversa nazionalità, dalla Francia alla Spagna. Lo showrunner italiano, Ludovico Bessegato, si è trasformato così nel paladino di questa nuova estetica adolescenziale, tutta basata sul difficile equilibrio tra naturalezza dei toni e profondità dei temi.
Il teen drama, d’altronde, è un ambito fortemente codificato, legato a schemi narrativi rigidissimi e difficili da manovrare. E la brillantezza del formato Skam, che è un bellissimo esempio di serialità intima ma anche universale, è proprio quella di lavorare su questi schemi, e non semplicemente al loro interno: i topoi della narrazione adolescenziale rimangono dei punti di riferimento imprescindibili, ma la modalità con cui si approcciano risulta ugualmente cruciale, perché stabilisce il grado di vicinanza tra personaggi e pubblico.
È un concetto che Bessegato ha saputo contestualizzare con impressionante specificità. Il suo progetto di adattamento – quattro stagioni remake a cui lo scorso settembre se ne è aggiunta una quinta originale – si interroga su questioni oramai all’ordine del giorno, dai tradimenti al coming out, passando per l’amicizia, le insicurezze, l’identità religiosa e sentimentale, filtrate attraverso lo sguardo adulto ma comprensivo dello showrunner. Lo si nota nella scrittura dei protagonisti: non figure cartonate, ma personaggi in carne e ossa, con il loro carattere e il loro slang ultra-giovane, delineati con precisione sulla fisionomia e sulla personalità dei loro interpreti.
L’uscita di Prisma su Prime Video ha allargato la visione di Bessegato oltre i confini del puro rifacimento. L’argomento di questo suo ultimo progetto è distinto – un coming of age declinato nello spettro della fluidità di genere - e ideologicamente più netto rispetto alla serie precedente. Ma l’approccio stilistico, sempre improntato su un modernissimo naturalismo, riflette anche qui lo spessore di un’operazione sinceramente ed emotivamente analitica, più incentrata sullo studio dei protagonisti che sullo sfruttamento di una tematica in voga o l’adulazione di una fascia del pubblico. Bessegato, insomma, ha compreso che i teengers non sono un semplice oggetto d’analisi narrativa, ma piuttosto dei player attivi e partecipi, desiderosi di essere coinvolti nelle narrazioni che li riguardano.
Sta qui la rivoluzione di Skam Italia e Prisma, prodotti orgogliosamente “young” che indagano l’adolescenza con tutta la gravitas che l’argomento merita, che non trattano il pubblico come un orizzonte da raggiungere ma come una parte integrante del discorso. E i giovani, di risposta, non solo si riconoscono nella rappresentazione seriale: si sentono accettati, compresi, inclusi in un discorso teen finalmente di spessore. Un ottimo esperimento di marketing, certo, ma anche e soprattutto una grande lezione di storytelling empatico, che ci si augura possa fare scuola.