CHAOS: The Manson Murders - Gli omicidi della Family secondo Errol Morris

Errol Morris è uno dei documentaristi più importanti e celebrati degli ultimi decenni, un autore che è stato capace di innovare, a livello linguistico e tecnologico, l’intero genere. Riconosciuto e celebrato per lavori rivoluzionari come La Sottile Linea Blu (1988) e The Fog of War – La Guerra Secondo Robert McNamara (2003), il regista statunitense rappresenta uno degli sguardi più critici e audaci della realtà governativa americana. Proprio per questo, è davvero difficile concepire come una figura di tale portata sia riuscita a produrre nel 2025 un film come L'operazione Chaos e gli omicidi Manson (or. CHAOS: The Manson Murders), disponibile su Netflix.

Basato sul saggio CHAOS: Charles Manson, the CIA, and the Secret History of the Sixties di Tom O’Neill, il film ricostruisce i brutali omicidi compiuti dalla Family, la setta creata da Charles Manson, tra l’8 e il 10 agosto 1969, che hanno portato alla morte una decina di persone, tra cui l’attrice Sharon Tate. L’obiettivo di tale rilettura è quello di sottolineare quanto le teorie proposte da Vince Bugliosi – la teoria dell’Helter Skelter, secondo la quale il movente degli omicidi risiedesse in una fantomatica guerra razziale tra la Family e il movimento delle Pantere Nere in una visione apocalittica dell’imminente futuro – siano espressamente false e contraffatte solo per lucrare sopra tale tragedia. Nella sua ricostruzione, O’Neill evidenzia poi i sospetti collegamenti tra il lavaggio del cervello subito dalle "ragazze” di Charlie e alcuni esperimenti sul controllo della mente che la CIA stava svolgendo in gran segreto, al fine di creare schiavi devoti all’istituzione e pronti a infiltrarsi nei gruppi giovanili e di sinistra che hanno agitato gli anni Sessanta per distruggerli dall’interno, anche con l’omicidio.

In un panorama mediale (ahimè) già pieno di opere che raccontano in modo molto dettagliato, e a volte ripetitivo, una simile tragedia, CHAOS aveva tutte le potenzialità per distinguersi: un regista dallo sguardo e prospettiva acuta, delle tesi molto ardite e in grado di fornire una lettura più complessa e sfaccettata dell’intera vicenda nonché di un intero periodo storico. Eppure, il regista sembra interessato in maniera molto limitata alle suddette, preferendo invece focalizzarsi sulla ricostruzione degli omicidi attraverso le prospettive di alcune delle persone vicine a Manson, grazie a filmati d’archivio e, ove possibile, a interviste realizzate ad hoc per il film. Questa scelta presa da Errol Morris, tuttavia, porta il film a mettere a fuoco gli elementi più noti delle vicende, condannando il film alla ripetizione di informazioni e di notizie già note alla maggior parte del pubblico – e, di conseguenza, alla noia.

L’errore – grave per qualsiasi regista, imperdonabile per uno come Morris – è l’aver sbagliato gli elementi di interesse presenti nella narrazione, finendo per creare un’opera che, pur avendo dei dati e una prospettiva interessante e nuova, non riesce ad esaltarla, finendo per riproporre la lettura più comune, popolare e già nota degli eventi. Anche il solito comparto tecnico curato e riconoscibilissimo di Morris – l’uso del suo Interrotron, inquadrature molto ripulite per un documentario, il fine impiego della ricostruzione – non riescono a salvare CHAOS dall’essere un progetto fallimentare nel raccontare e inquadrare in modo interessante, nuovo e avvincente la figura di Manson negli anni Sessanta.

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