Disclaimer: l’approdo di Alfonso Cuarón al mondo seriale

 
 

Un evento a prima vista innocuo come quello di ricevere un libro per posta sconquassa la vita apparentemente perfetta di Catherine Ravenscroft, documentarista londinese di successo.

Questo è l’antefatto della serie Disclaimer - La vita perfetta, ultima opera dell’acclamato regista messicano Alfonso Cuarón, presentata in anteprima mondiale all’81^ Mostra del Cinema di Venezia. Prodotta da Apple TV+, sarà disponibile sull’omonima piattaforma dall'autunno 2024: i primi due episodi saranno pubblicati l'11 ottobre, mentre gli altri cinque verranno diffusi a cadenza settimanale fino al 15 novembre. Come protagonista vediamo una memorabile Cate Blanchett nel ruolo di Catherine, affiancata da altri attori di fama come Sacha Baron Cohen e Kevin Kline, che interpretano rispettivamente il marito Robert e il suo “persecutore” Stephen Brigstocke.

Già vincitore del Leone d’oro nel 2018 con Roma, Cuarón si aggiunge al filone dei grandi registi cinematografici contemporanei che hanno deciso di cimentarsi con il formato seriale, come, tra gli altri, Hirokazu Kore’eda con Makanai nel 2023 (Netflix) e Joe Wright con M - Il figlio del secolo (Sky), presentata anch’essa al Festival di Venezia 2024. Nello specifico, l’idea di Disclaimer nasce già nel 2021, quando il regista annuncia che avrebbe scritto e diretto una serie ispirata all’omonimo romanzo di Renée Knight con protagonisti Cate Blanchett e Kevin Kline.

Thriller psicologico dai numerosi livelli di significato, Disclaimer vede nei suoi primi quattro episodi la vita della protagonista e dei suoi cari sprofondare sempre di più nell’abisso dell'incomprensione e del dubbio. Quando Catherine riceve per posta il romanzo The perfect stranger, i ricordi di un episodio traumatico del suo passato tornano in superficie, insieme alla totale incapacità di riuscire a parlarne con chi la circonda. Incapacità che si riflette dapprima sull’apparentemente perfetto marito Robert (un quasi irriconoscibile Sacha Baron Cohen in un insolito, ma ben eseguito, ruolo drammatico) e subito dopo sul problematico figlio venticinquenne Nicholas (Kodi Smit-McPhee), il quale ha un rapporto molto conflittuale con la madre, che lo ha “costretto” ad andare a vivere da solo per trovare la propria indipendenza.

Dietro al confezionamento di The perfect stranger c’è invece Stephen Brigstocke (Kevin Kline), ormai solo da molto tempo dopo la scomparsa della moglie Nancy (Lesley Manville) a causa di un cancro. Costretto al pensionamento dalla scuola dove insegnava, l’anziano uomo rimugina sul suo passato e in particolare sulla perdita del figlio Jonathan (Louis Partridge), morto vent’anni prima all’età di soli 19 anni in un incidente in mare durante una vacanza in Italia. Scopre così un manoscritto - redatto e nascosto da Nancy nella stanza del figlio che era diventata il suo rifugio di madre morente e consumata dal dolore - in cui è narrata la storia della fine di Jonathan. Nel racconto viene accusata una madre trentenne, anch’ella inglese e rimasta in Toscana con il figlioletto per concludere un soggiorno estivo senza il marito, ripartito in anticipo per motivi di lavoro. La giovane donna viene ritratta come una serpe tentatrice che intraprende una scabrosa relazione con il diciannovenne, fino a causarne indirettamente la morte al fine di non essere scoperta. A corredo del manoscritto, Stephen trova anche delle foto intime e provocanti di una giovane donna bionda…

Nancy non aveva lasciato nulla al caso e Stephen scopre presto l’identità della donna descritta nel libro: la famosa documentarista Catherine Ravenscroft. Nascono così nell’uomo un desiderio di rivalsa e una sete di vendetta tali, da portarlo ad autopubblicare a suo nome e a diffondere il manoscritto, per poi elaborare un ingegnoso e diabolico piano per distruggere a poco a poco la “vita perfetta” di colei che crede essere l’assassina di suo figlio.

Lo spettatore si trova così catapultato in un viaggio tra un presente grigio e pregno di dubbio e un passato che sembra essere chiaro, limpido, senza ombre. Un passato che appare fulgido e promettente, che si percepisce tale anche dalla scelta di una fotografia calda e luminosa e da una rappresentazione - a tratti piuttosto stereotipata - di un’Italia da cartolina. Tutta la narrazione dei primi episodi sembra voler avvalorare la colpevolezza di Catherine: la si vede terrorizzata, titubante, incapace di esprimersi. Le inquadrature la riprendono spesso di spalle, a volerne sottolineare l’oscurità e l’ambiguità. Questo costante senso di dubbio viene sottolineato anche a livello simbolico da una costante presenza di gatti nelle case di tutti i protagonisti della serie. Animale, il gatto, che, avendo di per sé una forte connotazione di mistero, viene spesso associato all’apparizione di una volpe: un duo di collodiana memoria che non è di certo casuale.

Nessuno crede all’innocenza della donna, che lentamente perde la fiducia dei colleghi e poi del figlio e del marito. In Robert, infatti, emerge tutto in una volta il senso di inadeguatezza e di insicurezza tipico di un uomo che, pur potendo sembrare inizialmente addirittura “decostruito”, appare invece pregno fino al midollo di una mascolinità tossica e fragile. Un eventuale antico tradimento gli fa mettere in discussione il suo matrimonio ventennale, non concedendo alla moglie nessuna possibilità di replica. Avendogli mostrato quelle che possono sembrare delle prove inconfutabili di una giovane Catherine vogliosa e fedifraga, il signor Brigstocke, in quanto anch’egli uomo, appare un interlocutore molto più affidabile per quanto sia, nei fatti, uno sconosciuto.

Negli ultimi tre episodi si arriva al culmine e alla risoluzione della vicenda che, come si può sospettare, è in realtà parecchio diversa da quella dipinta all’inizio. Finalmente il punto di vista della protagonista viene svelato, facendo crollare simbolicamente - ma anche a livello sostanziale - un sistema di dominio maschile che non poteva che essere destinato a soccombere. E alla fine, ciò che rimane e che accomuna i due veri protagonisti di questa storia, Catherine e Stephen, è il rapporto con i rispettivi figli: un legame indissolubile, ma allo stesso tempo conflittuale e travagliato, in cui entrambi si sono ritrovati a non essere il genitore “preferito”. Ma mentre Stephen non ha più nessuna possibilità con Jonathan (e con se stesso), Catherine riesce invece a ricostruire un rapporto con Nicholas senza più bugie.

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