La donna del lago: l’ombra lunga del divismo

 
 

Sbocciano e appassiscono su tutte le piattaforme grandi serie con divi e dive, attori Premi Oscar che nell’immaginario collettivo incarnano una vasta gamma di personaggi iconici. Si aggiunge alla già lunghissima lista La donna del lago, creata da Alma Har’el e tratta dall’omonimo romanzo di Laura Lippman, che sulla centralità di Natalie Portman in un racconto che nasce a due voci punta tutto, senza riuscire a convincere appieno.

Baltimora, 1966, nel bel mezzo della parata del Ringraziamento scompare una bambina appartenente alla comunità ebrea, lo stesso giorno la casalinga Maddie Schwartz (Natalie Portman) acquista ai grandi magazzini l’abito indossato in vetrina da una donna di colore, Cleo Johnson (Moses Ingram). I destini delle due donne, le quali appena si sono scambiate uno sguardo dietro un vetro, si intrecciano nel momento in cui Maddie, insoddisfatta, abbandona il tetto coniugale e torna al giornalismo e il corpo di Cleo, coinvolta nei loschi traffici del boss locale, Shell Gordon (Wood Harris), viene ritrovato nel lago dove altri crimini sono stati precedentemente commessi.

La donna del lago si pone come obiettivo quello di raccontare, attraverso la storia di due donne ribelli, le complicate dinamiche delle loro comunità d’appartenenza: quella ebraica e quella black, un tempo alleate nella lotta al pregiudizio razziale e ora in guardinga tolleranza reciproca. In aggiunta è evidente una smaccata riflessione sul ruolo della donna, vessata dal maschilismo radicato e intrinseco anche a quegli uomini che professano libertà. Maddie, che da Schwartz riassume il cognome da nubile, Morgenstern, come una novella Nora Helmer di Casa di Bambola, sceglie la possibilità di rifarsi una vita e inseguire un sogno, consapevole che il figlio adolescente possa non capire. La sua brama di successo, di notorietà, di rivalsa verso la società che la voleva casalinga sottomessa, la porta a indagare e a spingersi oltre il limite per scoprire la verità ma anche per prestigio personale. Sono continue le accuse rivoltele da tutti i personaggi di contorno e mantengono viva l’ambiguità delle intenzioni di un personaggio che si sforza di essere qualcosa in cui crede solo marginalmente.

Dall’altro canto Cleo è una madre che svolge più lavori per sopperire alle mancanze lavorative di un marito che, seppur svogliatamente, tenta di far carriera come stand up comedian. Con un figlio malato, le promesse non mantenute da una senatrice che la sfrutta, la donna del lago (così si parlerà di Cleo una volta rinvenuto il cadavere) si divide tra il combattere la malavita dalla quale vuole tenere lontano i figli e il tenere la contabilità, anche quella in nero, al boss. Vite, dunque, in bilico, distrutte e ricostruite, macchiate dal sangue e dagli abusi di ogni genere, che puntano il dito contro i colpevoli senza mai riuscire davvero a ottenere la propria rivincita: c’è un prezzo da pagare, che sia la finzione o la solitudine. Maddie e Cleo sono eroine cangianti di un dramma tinto di azione che le porta a districarsi tra cambiamenti repentini di rotta, colpi di scena, scommesse, alcol e sesso tanto liberatori quanto pericolosi.

La donna del lago mette in scena una narrazione complessa, che tiene insieme tanti elementi, tutti importanti per giungere alla conclusione. Inizia con un monologo interiore, quello di Cleo, continuativo e direttamente rivolto a Maddie a cui indirizza disprezzo, a cui pone domande dalle quali la giornalista fugge per non doversi confrontare con se stessa e con il passato. Ed è, dunque, fin dal principio chiaro allo spettatore quanto la protagonista assoluta dovrebbe essere Cleo, interpretata da un’attrice che padroneggia con sicurezza i cambi di umore del personaggio, che muta e mostra una vasta gamma di emozioni attrattive e repulsive. Dovrebbe essere, appunto, ma non lo è: il nome altisonante di Natalie Portman è probabilmente la chiave stessa che ha aperto le porte alla miniserie permettendone la realizzazione, e perciò è obbligo di copione che non venga mai oscurata.

Nel corso di sette episodi il ritmo incalzante dei primi arriva ad una battuta d’arresto e si spinge verso altri lidi quando, sempre per dare spazio a Portman, si piomba in un momento onirico che vorrebbe essere intrigante ma che, al contrario, risulta noioso e superfluo. La caduta libera frena bruscamente sul finale dove, forse proprio grazie a una svolta imprevista che riprende in mano la storyline di Cleo, il ritmo ricompare e la soglia d’interesse si rialza. Ad un’attenta analisi, il percorso narrativo descritto sembra quasi essere il comun denominatore delle ultime produzioni targate Apple, che finiscono con il girare a vuoto proprio nel momento in cui il pubblico va tenuto stretto, incollato allo schermo e alla storia, spingendo l’acceleratore sulla cifra distintiva del prodotto, che essa sia il thriller, il dramma o l’elemento storico sociale. L’era della focalizzazione esclusiva sul divo protagonista è ormai sorpassata, almeno dal momento in cui si è compreso che la serialità non aveva nulla da invidiare al cinema. Sono passati più di dieci anni da questa presa di consapevolezza e La donna del lago si conferma perciò una serie dal grandissimo potenziale, sfruttato moderatamente per la volontà di rimanere ancorati a strategie pubblicitarie sorpassate.

Indietro
Indietro

Disclaimer: l’approdo di Alfonso Cuarón al mondo seriale

Avanti
Avanti

The Union: eroi di strada e spie segrete