Federer - Gli ultimi dodici giorni: l’addio (im)perfetto del tennista più amato di sempre

 
 

Zurigo, Svizzera, 12 settembre 2022-Londra, Inghilterra, 23 settembre 2022. Gli ultimi 12 giorni di “vita sportiva” di Roger Federer raccontati in un documentario co-firmato dall’esperto Asif Kapadia, già dietro quelli su Ayrton Senna, Amy Winehouse e Diego Armando Maradona, sono un dolce e straziante ultimo saluto di amici, parenti e rivali sportivi, chiamati per una volta a giocare al di qua e non al di là della rete.

“Gli sportivi muoiono due volte”, sottolinea nei corridoi degli spogliatoi dell’O2 Arena di Londra uno dei componenti dello staff, mentre “Re” Roger si prepara meticolosamente per l’ultima partita della sua carriera accanto al rivale di sempre, ironicamente soli contro il mondo (il Team World nella Laver Cup, torneo ideato dallo stesso Federer assieme all’agente Tony Godsick).

Attorno a lui, oltre al terzo incomodo Novak Djokovic, nel tempo trascorso diventato davvero il più vincente di tutti i tempi e a cui il documentario lascia legittimamente il giusto spazio, la compagna di una vita Mirka, il cane Willow, i figli e le figlie (nessuno di loro sembra volerne seguire le orme), gli amici più stretti, Severin Lüthi e Mary Joe Fernandez, una prestigiosa ammiratrice come il “Diavolo” che “veste” Prada, Anna Wintour, e una sequela di avversari-comparse del presente e del passato: da Borg a McEnroe, passando tra gli altri per Andy Murray e il nostro Matteo Berrettini, all’epoca davvero in grande forma.

Tutto, come d’altronde ogni cosa nella carriera di Roger Federer, deve essere perfetto e il non sapere cosa accadrà, come dice a un certo punto lo stesso campione svizzero, può andare bene per una settimana.

Succede così che l’ignoto evocato ci metta lo zampino e dopo aver perso l’ultimo incontro che sembrava pensato per essere nient’altro che una grande passerella trionfale, proprio accanto al nemico-amico di una vita Rafa Nadal, Federer scoppia in un incontenibile pianto di disperazione guardando in faccia l’incertezza del futuro (“E adesso?”, singhiozza davanti alle telecamere) che travolge e coinvolge tutti, dal rivale spagnolo in una immagine mandata agli annali della storia fino alla moglie che non trattiene le lacrime sul finale, passando per il rivale serbo a cui il tennista svizzero sussurra parole che resteranno giustamente segrete ma che lo fanno crollare.

“Ripetete con me: io non piango”, recita a un certo punto un cartellone di un tifoso all’interno dell’Arena al termine dell’ultima sfida, mentre tutti, compresi noi che guardiamo, prosciugano il proprio corpo. Impossibile però non commuoversi, anche se non si conosce niente della storia di colui che, al di là delle vittorie, si merita anche il podio nella categoria dei tennisti più eleganti di tutti i tempi. 
Viceversa se almeno gli ultimi minuti di questo documentario, certamente in sé non memorabile ma ben confezionato come d’altronde tutti quelli del regista inglese di origine indiana, non vi fanno diventare gli occhi lucidi e la pelle d’oca dall’emozione guardatevi intorno: probabilmente siete morti. 

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