Full Monty - la serie: placido umorismo da pub

 
 

Con grande sorpresa alla sua uscita in sala (siamo nel 1997) Full Monty - Squattrinati organizzati (in inglese solamente The Full Monty) diventa presto un enorme successo popolare, raccogliendo pareri favorevoli da parte della critica e vincendo persino l'Oscar per la miglior colonna sonora e tre BAFTA su undici nomination, incluso miglior film. Bisogna dire che il valore cultuale che ha assunto il brillante esordio alla regia di Peter Cattaneo (ha fatto altro ma è poi praticamente sparito nel dimenticatoio) è dato da un’abile combinazione di materiali eterogenei.

Intanto bisogna sottolineare che il film è stato prodotto da Uberto Pasolini, produttore e regista italiano ma attivo nel Regno Unito, la cui presenza può aver sicuramente influito sulla tematica sociale presente nella vicenda. La disoccupazione dei protagonisti all’ombra del tatcherismo viene ad amalgamarsi alla scrittura brillante di Simon Beaufoy, composta da una serie di battute spiritose e trovate irriverenti, su tutte quella dello spettacolo di spogliarello, attorno alla quale si polarizza l’intera vicenda e che diventa un’autentica riflessione sulla mascolinità della working-class, che da corpo-lavoro diviene corpo-erotico e desiderabile.

Sono passati 26 anni e su Disney + esce un sequel in formato seriale, ideato da Simon Beaufoy e Alice Nutter e prodotto da Uberto Pasolini. La narrazione compatta del referente filmico, nei sui 90 minuti di durata, tende a diluirsi e spappolarsi nella frammentazione in 8 episodi di circa 45 minuti l’uno. La cosa più scontata da dire è che gli interpreti sono invecchiati e resta quindi inevitabile l’emergere di una vena profondamente malinconica e crepuscolare, che tende a sostituirsi all’effervescenza comica e a tratti scorretta del film originale. Ma anche lo spirito di squadra, che animava l’opera precedente e l’obbiettivo comune a cui mirava il gruppo, nella serie risultano praticamente inesistenti. Ogni personaggio porta avanti la propria vicenda in maniera del tutto indipendente, incrociandola spesso casualmente con le vicende degli altri personaggi.

La figura esuberante di Gary "Gaz" Schofield (Robert Carlyle) resta forse quella meno opacizzata, anche se gli viene affiancata una teen-story molto poco convincente, che vede protagonista la figlia ribelle Destiny con i suoi problemi scolastici e di inclusione sociale. Gli altri ex operai-spogliarellisti ora sono spesso al pub a scambiarsi battute placide, come in un rassicurante ritrovo di comici in pensione. Ad esempio il personaggio di Gerald Cooper (Tom Wilkinson) che nel film del 1997 aveva un ruolo fondamentale nel cast, qui diventa solamente una sorta di vecchio brontolone che ogni tanto compare al tavolo del pub per dire la sua.

Full Monty - La serie perde organicità sia a livello narrativo che per quanto riguarda la scrittura dei personaggi, presentandosi quasi come una sorta di comic strip book da sfogliare con nostalgia, in cui si possono solamente ravvisare dei frammenti di quello che Full Monty è stato per il cinema anglosassone degli anni Novanta.

Anche la tematica sociopolitica che attraversava il film senza pesarvi, qui si affaccia a strappi e specialmente nella vicenda di David "Dave" Horsfall, il quale all’ufficio di collocamento (dove viene considerato abile al lavoro nonostante la sua invalidità) esclama: “Oggi è ancora peggio di quando c’era la Tatcher!”. La disfunzionalità di questa nuova società in piena crisi bellica e post-pandemica decreta la morte di David "Dave" Horsfall, che diventa metafora di un’umanità piegata dalla nuova politica sociale. Questa è forse la trovata che funziona meglio all’interno della serie, perché risulta efficace sia sul lato dell’umorismo grottesco (il corpo trafugato e messo nel congelatore) che su quello della riflessione esistenziale e sulla finitezza umana.

Full Monty - La serie non riesce però a trovare nel suo complesso il senso della misura e il respiro giusto fra ritmo narrativo e trovate e, quando non insiste su abusati cliché sessuali e razziali, cerca disperatamente la scappatoia dell’umorismo facile, replicando senilmente il modello originale.

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