Kimi - Le fobie del presente
Perché Kimi è un dispositivo domestico migliore di Siri o Alexa? Perché ogni giorno viene migliorato prendendo in esame le esigenze dei fruitori. Un piccolo – e indolore – didascalismo necessario per entrare nel vivo dell’ormai penultimo lungometraggio di Steven Soderbergh, Kimi – Qualcuno in Ascolto (HBO Max), un film che, con estrema lucidità, ingloba fobie e innovazioni del presente nella struttura classica del thriller.
Angela Childs (Zoe Kravitz) è un’informatica che si occupa del continuo aggiornamento del dispositivo domestico Kimi. Lavora in smart working a causa della pandemia di COVID-19 che ha acuito la sua ipocondria e agorafobia. Convinta di aver intercettato un crimine violento ascoltando una delle tante registrazioni che per lavoro deve analizzare, denuncia il fatto, immischiandosi in affari che avrebbe dovuto “lasciar perdere”.
Soderbergh costruisce il suo film giocando con i contrasti: l’uomo e la macchina, l’interno e l’esterno, la tecnologia e la manualità, mettendo in scena un preciso specchio della contemporaneità che stiamo vivendo, senza tralasciare paure, fobie e traumi. Angela vive la sua quotidianità in un enorme appartamento, tra igienizzanti e lavatrici in funzione, in compagnia di Kimi che ad ogni ordine risponde “Sono qui”, quasi a voler sottolineare che lei c’è, mentre il resto dell’umanità pensa a se stessa e a riappropriarsi della normalità sottratta dalla pandemia. Angela osserva la strada e i palazzi di fronte dalle grandi vetrate del suo appartamento come a guardare uno spettacolo a cui lei è impossibilitata a prendere parte. Sarà proprio la voce metallica che scandisce le sue giornate, e che prepotentemente impone la sua presenza, a smuovere la vita dell’informatica e a lanciarla – senza alcun paracadute – nello spietato mondo reale che le ha provocato dolore e che ancora vorrà causargliene.
L’estrema apertura degli spazi chiusi di una casa in cui i suoni rimbombano e la luce acceca già di prima mattina, si trasforma nell’incombente mostruosità di una città nemica che va attraversata camminando a passo svelto, il rigore formale viene interrotto da una fitta serie di grandangoli che denotano malessere e squilibrio, che spiazzano, che fanno crescere la tensione. Ed è così che più nessun luogo è sicuro, che la camminata diventa corsa smodata per sfuggire a chi vuol mettere a tacere il senso del dovere di Angela che, con le sue fobie e dipendenze – dalla tecnologia – deve farci i conti, lasciandosele alle spalle per poter sopravvivere.
Kimi – Qualcuno in Ascolto ha una struttura semplice, si potrebbe dire scontata, con palesi rimandi a La finestra sul cortile (in parte a dinamica inversa e con intenti 2.0) e a Blow Out, eppure la sua grandezza sta nella capacità registica di miscelare, mescolare, incatenare elementi che da soli, se troppo approfonditi, farebbero cadere la narrazione nella retorica del vuoto citazionismo o della moralistica critica sociale. Soderbergh non eccede, alterna e plasma i caratteri della sua opera finché i confini non diventano indistinguibili, naturali prolungamenti gli uni degli altri, mentre Zoe Kravitz da piccola e nevrotica nei gesti, si fa eroica e sinuosa, spalleggiata da una presenza artificiale più salvifica e reattiva di qualunque altro personaggio sulla scena. E’ un thriller al femminile dalle tinte cangianti dove le donne decidono, agiscono e cambiano, come il colore di capelli di Angela che dal blu solitario e incerto, passa al rosa della serenità conquistata, lo stesso rosa di cui si illumina Kimi per segnalare che “c’è”.