Loki: quel che resta dell’età d’oro della Marvel

 
 

Osserviamo i dati di fatto: l’ultimo episodio della seconda stagione di Loki esce praticamente in contemporanea con la release dell’ultimo film del Marvel Cinematic Universe, The Marvels (2023). Continuiamo a seguire i fatti: da una parte abbiamo uno dei finali di stagione (ma più in generale un prodotto audiovisivo) tra i più apprezzati e calorosamente accolti dal pubblico generalista, dall’altra uno dei tonfi più sonori al botteghino degli Studios. Ma allarghiamo ancora di più la nostra indagine, ricordandoci sempre di lasciare da parte il gradimento e il gusto personale: da una parte abbiamo un’operazione legata alla “vecchia” Marvel, dall’altra il simbolo più esplicito delle intenzioni produttive contemporanee. 

Unendo facilmente i puntini, possiamo concludere che il cambio di rotta intrapreso in casa Marvel dopo la svolta spartiacque di Avengers: Endgame (2019) non si è rivelato assolutamente all’altezza della strada percorsa sino a quel momento. La seconda stagione di Loki è qui per confermare il tutto. Infatti, a differenza di quanto visto in The Marvels, o più genericamente negli ultimi anni dell’universo espanso della Casa delle Idee (tra videogiochi, nuove fasi cinematografiche e, soprattutto, i prodotti seriali), Loki sembra ancora un prodotto legato al passato in quanto si ostina con tenacia a costruire un consenso, invece che a inseguirlo. La serie ideata da Michael Waldron è ottima televisione. Non prova a mettere insieme degli ingredienti per ricreare la ricetta perfetta, ma corre con grandi falcate verso una strada oggettivamente impervia e complessa, invitando il pubblico a percorrerla a sua volta, senza sconti. 

Così, piani temporali sovrapposti, flashback, flashforward, labirinti di immagini, strutture narrative, nomi o locations rendono la visione tanto intrigante quanto stratificata. Loki continua quanto già messo in mostra nella prima stagione e crea una selezione naturale della serie “chi mi ama, mi segua”. Il tutto per lavorare in maniera davvero lodevole su una forma che da anni mancava in casa Marvel (non diamo per scontato il ritmo del montaggio, l’uso della soundtrack, l’impiego della CGI o l’alchimia degli interpreti) finalizzata a restituire la fragilità e le emozioni di un protagonista che non si dimentica. Il finale funziona proprio perché straziante. Il dio dell’inganno resta schiacciato e ingabbiato all’interno di una serie televisiva che porta il suo nome. Questo perché Loki, il prodotto audiovisivo, altro non è che la messa in scena dei tormenti e dell’indole di Loki, il personaggio. Pensateci: meschino, mutaforma, ingannevole, cangiante. Quanti altri aggettivi potrebbero essere impiegati per descrivere sia l’uno che l’altro? 

Loki è un prodotto audace, coraggioso e intelligente. Un prodotto che non teme lo scontro con il pubblico e non guarda al contemporaneo con facile servilismo. È la prosecuzione ideale del percorso Marvel prima della sua cesura. A tal proposito, non è una coincidenza che il protagonista nasca proprio da quel magma, da quei lavori, e che si faccia quindi testimone e portavoce di un’idea produttiva oggi sempre più esile, risultando anacronistico. Per nostra fortuna.

Simone Soranna

Simone Soranna, classe 1991, laureato in Lettere moderne. È caporedattore del portale LongTake.it, scrive per la rivista Cineforum, lavora come corrispondente dai maggiori festival internazionali (Cannes, Venezia, Berlino) per Fred Film Radio e ha collaborato come anchorman per SkyCinema.

Indietro
Indietro

The Killer: Fincher sacrifica la spettacolarità narrativa per la perfezione formale

Avanti
Avanti

Un’estate fa: tra crime e nostalgia anni ‘90