Money Shot: le confusionarie peripezie di Pornhub
Money Shot: la storia di Pornhub è un documentario di Suzanne Hillinger che, dalla sua distribuzione su Netflix, si trova saldamente nella top 10 della piattaforma. Il solo nome Pornhub è del resto un richiamo irresistibile per tanti spettatori grazie alle campagne di marketing che MindGeek e Pornhub stessa hanno saputo fare nel corso dell’ultimo decennio. Purtroppo il documentario non è decisamente all’altezza delle aspettative ma è confusionario, poco chiaro e dispersivo.
Partiamo dal titolo: con quel “la storia di Pornhub”, presente anche nel titolo originale (The Pornhub Story), siamo portati a pensare che il film si basi sulla storia di come è nata e cresciuta la celebre piattaforma pornografica, cosa che sembrerebbe confermata dalla breve descrizione posta su Netflix (“questo documentario con interviste ad attori, attivisti ed ex dipendenti offre una profonda analisi dei successi e scandali di Pornhub”).
Ebbene, in realtà della storia di come è nata o si è evoluta Pornhub viene detto poco e nulla perché tutto è un espediente per raccontare della crisi di alcuni sex workers nel momento in cui la piattaforma è stata bersagliata dal movimento Traffickinghub di Laila Mickelwait che li accusava di accogliere al suo interno materiali legati a stupri e violenze di ogni tipo. Se fino ad un attimo prima Money Shot: la storia di Pornhub, anche a livello musicale, rappresentava in tutto e per tutto il classico documentario dedicato ad argomenti leggeri, eccolo trasformarsi improvvisamente in una sorta di taglio investigativo. Peccato che lo faccia senza averne gli strumenti e, soprattutto, i toni adeguati.
Nel tentativo di restare forse il più oggettiva possibile, la narrazione diviene a questo punto decisamente confusionaria: i dati a favore o contro una determinata tesi non vengono analizzati con la giusta correttezza e si mescolano informazioni provenienti da fonti discutibili ad altre apparentemente più credibili ma comunque filtrate dall’esperienza soggettiva dei protagonisti. Giusto per fare un esempio ecco che un articolo sulla questione del premio Pulitzer Nicholas Kristof viene presentato alla stregua della testimonianza di altri personaggi di provenienza e interessi ignoti. Tutto questo viene gettato in faccia allo spettatore senza alcuna contestualizzazione, lasciando pensare che il prodotto sia stato confezionato ad uso e consumo degli americani che hanno vissuto da vicino la vicenda e ne conoscono probabilmente tutti i dettagli.
La storia di cui parla il titolo è in sostanza quella del delicato passaggio da una piattaforma aperta a tutti ad una aperta ai caricamenti dei soli utenti verificati. Il lungo scontro che ha costretto Pornhub a questo passaggio, ha portato alla creazione di due leggi, la Stop Enabling Sex Traffickers Act (SESTA) e la Allow States and Victims to Fight Online Sex Trafficking Act (FOSTA) entrate in vigore nell’aprile del 2018 e che hanno portato, tra le altre cose, ad alcuni emendamenti nella sezione 203 del Communications Decency Act. Questo decreto toglieva inizialmente ogni responsabilità civile ai fornitori di servizio online su quanto veniva caricato sulle loro piattaforme. Con la legge FOSTA-SESTA questa immunità viene tolta nei casi che riguardano la tratta a sfondo sessuale.
Se, da una parte, ora le piattaforme pornografiche, e non solo, sono più sicure, questo passaggio, e il lungo scontro mediatico che lo ha preceduto, ha però portato a una forte ripercussione sui sex workers che si mantenevano grazie ai guadagni fatti su Pornhub e che sono così dovuti ricorrere ad altre piattaforme come OnlyFans. Che sia questo il focus del film viene chiarito solo da un’analisi a posteriori del prodotto e non dal titolo, dalla descrizione o, ancora più grave, dal documentario stesso. Nel tentativo di dare ai soli protagonisti le redini della narrazione, come in un classico documentario partecipativo, Money Shot: la storia di Pornhub perde in realtà totalmente di coerenza come se si fosse scelto l’argomento definitivo della vicenda solo dopo aver raccolto il materiale.
La scarsa focalizzazione è veramente un peccato perché di fronte a una tale superficialità vengono appena accennate tante tematiche che potevano essere approfondite di più. Tra tutte quella che riguarda le condizioni di lavoro dei e delle sex workers all’interno delle case di produzione pornografiche, o in altri frangenti, e di come il lavoro autonomo sia per loro molto più sicuro e remunerativo. C’è anche spazio per una ridicola e banalizzante microsezione finale sulla differenza tra consenso o meno e su come esprimere cosa si vuole venga fatto durante un rapporto sessuale.
Insomma, in un mondo in cui anche i documentari sono sempre più serializzati per dare agli spettatori un numero di informazioni più ampio con tempistiche dilatate, poteva non essere una cattiva idea quella di dare vita a puntate diverse incentrate su argomenti diversi (la nascita di Pornhub, il suo sviluppo, la crisi, ecc.), senza condensare tutto in un calderone che alla fine si è rivelato vuoto e poco soddisfacente. Decisamente un’occasione persa.