Nucleo Zero: album di famiglia del terrorismo di celluloide
Presentato nella prestigiosa cornice della Mostra di Venezia del 1984 e messo in onda su Rai Due il 14 e 15 novembre dello stesso anno, Nucleo Zero (1984) di Carlo Lizzani intreccia interessanti analogie con Parole e sangue (1982) di Damiano Damiani. Entrambe produzioni televisive dimenticate e scomode, sono incentrate su cellule terroriste marginali, i cui membri si trovano a recitare un ruolo che non è il loro. Infatti, i “nucleisti” hanno rinunciato alla lotta armata e hanno deciso di dedicarsi, paradossalmente, all’accumulazione di capitale attraverso rapine, attendendo un momento più favorevole per riproporre l’attacco al cuore dello Stato. Inoltre, le opere di Damiani e Lizzani ibridano il loro carattere di film di inchiesta sul terrorismo rosso con una rivisitazione dei moduli narrativi del poliziesco e heist movie che Lizzani aveva già utilizzato in Svegliati e Uccidi (Lutring) (1966) e Banditi a Milano (1968). Nel caso di Nucleo Zero, inoltre, un importante riferimento cinematografico è Elio Petri e l’elemento di congiunzione è rappresentato da Ugo Pirro, co-sceneggiatore con Piero Travaglini e lo stesso Lizzani del film televisivo, e storico collaboratore di Petri.
Il punto di partenza, tuttavia, non può che essere la fonte letteraria: l’omonimo romanzo di Luce D’Eramo pubblicato nel 1981, dopo il successo letterario e mediatico di Deviazione (1979). Fin dalla prima scena, il rapporto con il romanzo è di parodia e sovvertimento piuttosto che di diretta filiazione. Infatti, se tutta la prima parte dell’opera letteraria è dedicata alla triplice rapina del gruppo terroristico, il film si apre, come viene esplicitato nel “Trattamento”, con “una finta rapina in banca”: “scopriamo che i falsi rapinatori sono poliziotti” che hanno fatto irruzione per arrestare due sospetti terroristi che lavorano in quella banca. Regista e sceneggiatori decidono di esplorare un tema già presente nelle righe del romanzo di D’Eramo, ma che viene riproposto con più forza nell’opera televisiva: quello della finzione e della recitazione. Gli appunti di Pirro a margine della sceneggiatura indicano un ampliamento del tema rispetto al dattiloscritto che viene ulteriormente rafforzato in sede di riprese. Quello che colpisce è che questa finzione non sia solo, come è largamente nel romanzo, caratteristica dei terroristi, ma anche dello Stato, come appunto nella scena iniziale della finta rapina in banca o nelle tecniche utilizzate dalla polizia per far parlare i terroristi arrestati. Altra caratteristica importante che Stato e Nucleo Zero condividono è la costante opera di sorveglianza sugli obiettivi, evidenziata con gli scatti delle macchine fotografiche.
Questa idea dell’indagine come messa in scena ci riporta all’idea di album di famiglia del terrorismo di celluloide e al cinema di Petri. Ovviamente pensiamo a Indagine su un cittadino al di sopra di ogni sospetto (1972), il cui titolo è citato e appropriato dai terroristi che si credono “al di sopra di ogni sospetto” (virgolettato nella sceneggiatura originale) perché non in clandestinità e, se anche dovessero essere scoperti, lo sarebbero solo come rapinatori, delinquenti comuni, e non come terroristi. Ma Nucleo Zero omaggia, a due anni dalla morte del grande regista, anche l’ultima collaborazione di Pirro e Petri, La proprietà non è più un furto (1973), evocando esplicitamente l’atto di Total (Flavio Bucci) di bruciare il denaro mostrando uno dei nucleisti che brucia una banconota da 100.000 lire, dicendo “In celebrazione di un padre anarchico . . . Chissà che bella fiammata farebbero tutti i soldi del mondo”. Nonostante la posizione marginale a cui al tempo Petri era stato relegato dopo che Todo modo (1976), alla cui sceneggiatura Pirro non partecipò ma che riprende certe atmosfere allucinate di La proprietà non è più un furto, Nucleo Zero lo rivendica come padre di un cinema che non vuole smettere di porre domande, all’interno di film di genere, sulle dinamiche del potere.