Old Henry: la fine della frontiera

 
 

Presentato alla Mostra del Cinema di Venezia nel 2021, Old Henry approda su Netflix innestando un cortocircuito paratestuale al quale probabilmente il regista Potsy Ponciroli non aveva pensato ma che, oggi come oggi, offre un’interpretazione critica quanto mai calzante e contemporanea sui tempi vissuti dal mondo dell’intrattenimento. Se infatti le numerose lodi ricevute durante la prima mondiale al Lido lagunare più cinefilo del mondo non sono bastate a convincere buona parte della distribuzione a scommettere su questo titolo, è anche vero che la sua collocazione all’interno di una piattaforma streaming sembrerebbe essere la destinazione ideale per un film che ha alla base della sua origine proprio l’interesse di raccontare il cambiamento dei tempi, l’inesorabile fine di un’epoca e il ridimensionamento di uno spettacolo ormai destinato a estinguersi.

Certo, detta così non sembra assolutamente una novità. Il western moderno sono anni, anzi, decadi che si interroga su questi concetti. Eppure è proprio da qui che Old Henry prende le mosse: quello di Ponciroli è un classico contemporaneo, ovvero un film che poggia solidamente i suoi piedi all’interno della Storia del Cinema western non tanto per abitarla, quanto per omaggiarla a distanza. Sono altre infatti le intenzioni del progetto. Con le tinte più crepuscolari, con il fantasma di una leggenda immortale che aleggia dal primo all’ultimo minuto e con l’ennesimo coming of age nascosto sotto il passaggio di testimone tra una generazione ruvida e violenta e una più giovane che vorrebbe ripercorrerne i passi ma che invece si cerca di tutelare verso nuovi orizzonti, Old Henry si inserisce perfettamente nella corrente western più recente in cui il genere ha smesso di fare i conti con la sua morte imminente per ragionare effettivamente sulla sua scomparsa.

Ecco allora che Ponciroli si inventa un progetto in scala ridotta, mantenendo praticamente l’unità di tempo e di luogo, portando in scena un pugno di personaggi e ricalcando le storie di quello che forse è il migliore tra i western contemporanei che ha saputo rappresentare tutto questo magma, Non è un paese per vecchi (2007). Pensateci, la storia è praticamente la medesima. Old Henry si presenta quindi con inquadrature mozzate, claustrofobicamente limitate all’interno di una dimora; si presenta senza duelli degni di questo nome, senza l’epica e la leggendaria retorica dell’immaginario a cui siamo abituati; si presenta senza il deserto, senza il sole, costringendo i suoi personaggi (e noi con loro) a un clima uggioso e crepuscolare. Si presenta, insomma, in una cornice ridimensionata che sposa perfettamente i limiti di una fruizione domestica.

“C’è un nuovo mondo lì fuori, non adatto a vecchi come me”, viene detto. Old non è solamente la prima parola del titolo del film, non è solamente l’epiteto con cui viene connotato il suo protagonista. Old è una linea di confine, un segno netto e ineluttabile che (prima nel racconto, oggi nel mercato) divide la mitologia classica di un’industria dalla sua più contemporanea fruizione. Il western è morto. Quello che vediamo oggi è un’altra cosa, una sua fisiologica evoluzione che, in quanto tale, si sta naturalmente affacciando a nuovi orizzonti: non più quelli sconfinati di uno schermo cinematografico, ma quelli informatici di una stringa alfanumerica.

Simone Soranna

Simone Soranna, classe 1991, laureato in Lettere moderne. È caporedattore del portale LongTake.it, scrive per la rivista Cineforum, lavora come corrispondente dai maggiori festival internazionali (Cannes, Venezia, Berlino) per Fred Film Radio e ha collaborato come anchorman per SkyCinema.

Indietro
Indietro

Tour de France: un invito alla visione per neofiti e appassionati

Avanti
Avanti

Grease - Rise of the Pink Ladies: tra recupero e innovazione