Pulse: il medical drama di Netflix tra soap e stereotipi che delude le aspettative

Nonostante il medical drama continui a essere un fenomeno di punta per le piattaforme, soprattutto per i loro cataloghi (basti pensare a Disney+ con Grey’s Anatomy), spesso queste rimangono restie all’idea di produrne di nuovi, un compito spesso affidato alla televisione tradizionale. Apple TV+ ha iniziato di recente con una produzione europea (Berlino Codice Rosso), così come Max che ha potuto contare su parte del team creativo di E.R. - Medici in prima linea per la sua The Pitt, tristemente ancora inedita in Italia. Dopo aver tastato il terreno l’anno scorso con la serie spagnola Respira, anche Netflix sale sul ring con Pulse, il suo primo medical drama in lingua inglese uscito sulla piattaforma il 3 aprile.

Mentre a Miami imperversa un furioso uragano e lo staff del centro traumatologico di primo livello del Maguire Hospital si prepara a curare i feriti, il primario di Chirurgia Natalie Cruz (Justina Machado di One Day at a Time) sceglie di dare un’inaspettata promozione alla specializzanda Danny Simms (Willa Fitzgerald), dopo la sospensione del precedente capo Xander Phillips (Colin Woddell). Le circostanze estreme costringono però i due dottori, un tempo legati da un amore tanto passionale quanto proibito, a condividere un ultimo turno, mentre cercano di salvare quante più vite possibili, inclusa quella della figlia di Natalie.

La scelta più inspiegabile di Pulse sta nella ragione dell’allontanamento di Xander: Danny difatti ha sporto denuncia verso Xander per molestie sessuali e la serie non è interessata a indagare la natura di tali accuse, se queste siano veritiere o solo un bizzarro espediente per interrompere bruscamente la loro relazione. I numerosi flashback che costellano la serie si limitano a delineare la nascita della passione tra i due dottori, sperando che la chimica tra Willa Fitzgerald e Colin Woddell sia sufficiente per intrigare il pubblico e per convincerli a sorvolare sull’elefante nella stanza.

Se a Danny e Xander Pulse concede ampio (anzi, forse troppo) spazio, il resto dei personaggi non riceve un simile trattamento di favore, rimanendo relegato a una fastidiosa unidimensionalità o addirittura a stereotipi. Abbiamo la ragazza svampita e civettuola che si fronteggia per l’intera stagione con quella cinica e acqua-e-sapone, il classico migliore amico della protagonista che vorrebbe qualcosa di più, un dottore disonesto che serve solo a mettere Xander in buona luce e infine la sorella di Danny, che non ha alcuno scopo o personalità al di fuori del rapporto familiare. La stessa Justina Machado, una degli interpreti più capaci e convincenti del folto cast, è imprigionata in storyline banali e marginali che la costringono ad essere osservatrice più che agente attivo.

Creata da Zoe Robyn e Carlton Cuse (dietro a serie come Lost e Bates Motel) Pulse è una soap opera mascherata da medical drama, che dimostra in fretta il pressoché totale disinteresse per tutti i pazienti che entrano ed escono dal centro di traumatologia, a meno che questi non tocchino la sfera emotiva o comunque personale dei protagonisti. Il ritmo incerto della narrazione che prima indugia sulle conseguenze dell’uragano e poi si muove veloce saltando tra i mesi è disorientante e non aiuta di certo il fatto che questo sia accompagnato da una forte ripetitività nel comportamento dei personaggi. Pulse rimane per dieci lunghi e futili episodi “la copia di mille riassunti”, un mix di spunti sviluppati in modo molto più efficace e compiuto da altre serie e un oggetto privo di un’identità propria che nasce da una premessa scorretta, specialmente al giorno d’oggi.

Indietro
Indietro

Una mamma per amica torna su Disney+: nostalgia, comfort e considerazioni

Avanti
Avanti

Colonna Sonora Per Un Colpo Di Stato: un coup d'etata tempo di jazz