Regina Cleopatra: drammatizzazione o realtà storica?

 
 

Esce su Netflix Regina Cleopatra, una docuserie dedicata all’ultima sovrana tolemaica, che ha fin dal suo annuncio portato con sé una scia di polemiche e controversie. La serie cerca di ripercorrere la vita della faraona tolemaica alternando interviste a studiosi del mondo antico a immagini ricostruite per l’occasione con l’utilizzo di attori. La controversia principale riguarda la scelta di far impersonare la regina ad un’attrice nera, Adele James, portando avanti l’idea, in particolare attraverso la studiosa Shelley P. Haley, che un presunto whitewashing avrebbe fatto dimenticare la vera origine della sovrana. Questo articolo sarà idealmente diviso in due parti: una prima dedicata all’analisi del documentario da un punto di vista strutturale e comunicativo, una seconda dedicata all’analisi contenutistica.

Regina Cleopatra è un documentario decisamente in linea con tantissimi altri prodotti anglofoni dello stesso tipo. Le immagini ricostruite sono ad effetto condite da costumi dai colori sgargianti, momenti splatter, riferimenti sessuali e frasi ad effetto. Mentre le scene scorrono gli esperti raccontano la storia della faraona. Tra questi troviamo tutte donne, di cui la metà nere, e il solo Islam Issa come rappresentante del punto di vista “maschile”. La vita della regina è ripercorsa dalla morte del padre fino al proprio suicidio all’interno di quattro episodi della durata di circa 40 minuti ciascuno.

A livello prettamente informativo le notizie sono tante e si è cercato di creare, attraverso gli interventi, una linea narrativa che rispettasse cronologicamente la vita di Cleopatra. L’ultima parte, dalla metà del terzo episodio alla fine, ripercorre gli avvenimenti finali che vanno più o meno dalla battaglia di Azio alla morte della regina. Nei momenti che vengono considerati chiave o controversi, le criticità vengono esposte in maniera estremamente rapida optando per una tesi piuttosto che un’altra senza particolari spiegazioni. Le notizie non sono per altro spesso portate avanti in maniera coerente e questo spiazza lo spettatore che, in questo genere di produzioni, è generalmente abituato alla ripetizione reiterata, seppur con leggere modifiche, degli stessi concetti. In Regina Cleopatra la necessità di costruire una narrazione storica porta alla scelta, quasi inedita e poco funzionale, di esplicitare una tesi iniziale, controversa, per provare a rinforzarla alla fine della serie alla luce di informazioni che non la riguardano in alcun modo.

La parte della drammatizzazione, pur negli eccessi, è generalmente ben realizzata. L’attrice Adele James riesce a tratteggiare una Cleopatra molto credibile e conforme all’immagine che gli ideatori della serie volevano portare. La sovrana appare come una donna forte, di estrema intelligenza e vicina al proprio popolo più che ai suoi pari. La sua proverbiale bellezza viene sminuita e adombrata di fronte alla sua capacità di arrivare quasi da sola a manovrare personaggi come Cesare e Marco Antonio arrivando quasi a controllare Roma. La vicenda è quindi di fatto Cleopatrocentrica in uno strano tentativo revisionista che, seppur a tratti necessario, assume livelli eccessivi.

A livello prettamente strutturale e comunicativo, Regina Cleopatra è un prodotto relativamente ben riuscito, con qualche problematica di coerenza interna ma tutto sommato coeso e chiaro. Un documentario però non è solo questo. Chiaramente è infatti molto importante, specie quando si parla di storia, la parte contenutistica, ed è proprio qui che emergono i problemi più grandi. Da storico antico, seppur non specializzato su Cleopatra, ritengo che un documentario storico debba avere una serie di caratteristiche importanti al fine di fornire una corretta informazione agli spettatori. 

La parte documentaria di questo prodotto porta avanti delle tesi forti e a tratti, come visto, addirittura in contrasto tra di loro. La prima e più divisiva è ovviamente il già citato presunto colore della pelle di Cleopatra. Posto che, qualora fosse stato vero, sarebbe per chi scrive assolutamente indifferente, la motivazione “scientifica” portata avanti da Shelley P. Haley è debolissima. Riassumendo all’osso la questione, non esistono fonti che parlano della madre di Cleopatra, figlia del Faraone Tolomeo XII Aulete. L’unica fonte greca che ne parla, Strabone, lascia intendere che era forse una figlia illegittima del Faraone. Da queste basi alcuni studiosi hanno pensato che forse la madre poteva essere una donna egiziana o che potesse essere, come dice Roller, un membro della famiglia dei Gran Sacerdoti di Ptah, che avevano sangue parzialmente locale oltre che macedone. L’unico appunto che faccio a proposito è che risulta quantomeno strano che le fonti antiche, qualora Cleopatra avesse avuto un colore della pelle diverso dal resto della famiglia tolemaica, non abbiano mai citato la cosa. Le motivazioni date nel documentario da Shelley P. Haley, rasentano però quasi lo sciamanesimo più che la ricerca scientifica. Durante l’intervista sostiene che sarebbe stata la nonna a rivelarle che Cleopatra era nera e, ancora, che Cleopatra le appariva in maniera ricorrente in sogno dicendole che avrebbe dovuto raccontare la sua storia. Islam Issa dichiara, quasi ridendo, che la cosa bella di Cleopatra è poterla immaginare come la si vuole, per esempio della sua stessa carnagione e con i capelli ricci. 

Questo spunto, più che un modo per parlare della questione in sé, è in realtà un campanello di allarme sul modo in cui ogni questione potenzialmente controversa viene affrontata all’interno della serie. Viene portata avanti in maniera accorata una teoria, ad esempio il colore della pelle, le ricostruzioni si basano su di essa, e poi ogni tanto le parole di un altro studioso dichiarano nulla o discutibile la tesi affermata fino a quel momento. Ad un certo punto, ad esempio, viene detto esplicitamente che non possiamo sapere quale fosse il colore della sua pelle. A badare bene al termine dei titoli di coda è scritto in maniera molto esplicita che quanto raccontato si basa su una storia vera con personaggi e situazioni alterati a scopo di drammatizzazione. Una domanda sorge allora spontanea. Dove si interrompe la drammatizzazione e dove subentra la realtà storica?

Questo è un problema che si ritrova in tantissimi documentari sulla storia antica che si vedono in televisione o in streaming. Chi sono gli studiosi che stanno parlando? Che curriculum hanno? Che credibilità hanno a livello internazionale? Le informazioni di cui sono portavoce sono vere o solo parzialmente tali? L’impalcatura informativa del documentario si basa su basi molto fragili e il fatto che, a scopo di drammatizzazione, vengano date agli spettatori informazioni non parziali o semplificate, come è normale, ma inesatte o errate è grave.

Non c’è neanche una chiarezza nel modo in cui le fonti vengono trattate. Una delle opere di riferimento è la sezione dedicata a Marco Antonio delle Vite Parallele di Plutarco, autore vissuto più di un secolo dopo le vicende ma che aveva a sua disposizione fonti più o meno coeve alle vicende raccontate. Quando determinate informazioni non fanno comodo alla ricostruzione, le sue testimonianze vengono esplicitamente sminuite, mentre in gran parte delle altre ricostruzioni l’autore viene preso come fonte affidabile. Ad esempio, da una parte si dice chiaramente che si vuole liberare Cleopatra dalla tradizione che la vede come un personaggio negativo, dall’altra viene sposata totalmente la teoria secondo cui sarebbe stata lei a manipolare il debole Marco Antonio. Questa teoria andrebbe però analizzata e sviscerata con ben altra profondità, perché gli storici romani volevano giustificare la caduta di Marco Antonio dando la colpa a Cleopatra, una donna che secondo il loro punto di vista portava avanti dei valori e uno stile di vita culturalmente inaccettabile sotto tanti punti di vista. Il compito di un qualunque studioso è quello di ipotizzare una teoria, analizzare le fonti in maniera oggettiva e verificare se essa è riscontrabile, mentre in Regina Cleopatra pare spesso che la tendenza sia quella di manipolare le fonti per far tornare la tesi di partenza, tutto a danno della verità sottacendo a tratti informazioni anche molto importanti. 

Altra problematica di fondo è legata all’eccessiva tendenza ad interpretare i comportamenti dei personaggi con gli occhi dei contemporanei. Questo è un errore tipico di chi analizza superficialmente i testi e le vicende storiche. Il mantra per chi studia culture diverse dalla propria è quello di studiare quelle culture dal loro punto di vista, non certo dal proprio. Bisogna però spezzare una lancia a favore del lavoro di Shelley P. Haley, perché nell’impero romano c’era una presenza africana e in generale multietnica che viene spesso sottovalutata e non rappresentata.

Concludendo Regina Cleopatra è una docu-serie che raggiunge bene il suo scopo a livello comunicativo portando avanti la propria tesi anche a discapito della correttezza storica e informativa. L’idea di fondo è chiara e il colore della pelle è solo un espediente. Chi ha confezionato il documentario vuole creare, attraverso Cleopatra, un punto di riferimento storico per le donne nere, come confermato anche dalle parole di Jada Pinkett Smith, coproduttrice della serie. Del resto Cleopatra, come ripetuto subdolamente più volte nel corso delle puntate, viene presentata come una regina africana e non come una faraona tolemaica d’Egitto. Se quindi da un punto di vista comunicativo il documentario è vincente lo è decisamente meno da un punto di vista informativo e scientifico. Le informazioni sono inesatte e a tratti in contraddizione tra di loro e la realtà storica è messa in secondo piano rispetto a un obiettivo considerato più alto.

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