Sconfort Zone: il blocco dello scrittore secondo Maccio Capatonda

Sono ormai diversi anni che registi e sceneggiatori realizzano opere incentrate sulla loro vita personale come atto di auto-riflessione e auto-coscienza, con risultati alterni – da Roma (Alfonso Cuarón, 2019) a Belfast (Kenneth Branagh, 2021). Anche Marcello Macchia, alias Maccio Capatonda, con la sua ultima serie Sconfort Zone - una stagione fatta di sei episodi, disponibile su Prime Video - adotta questa operazione per raccontare una fase della propria vita e carriera in modo più personale e meno strettamente comico.

Al centro di Sconfort Zone vi è proprio Marcello in un momento apparentemente di apice della sua vita: è benestante e famoso, è fidanzato con la donna che ama (Francesca Inaudi), lavora col suo migliore amico (Valerio Desirò), e ha un contratto firmato per la sua prossima serie. C’è solo un problema: Marcello è in piena crisi creativa, non riesce a scrivere e per questo vive un momento di forte crisi personale oltre che professionale. Per superare questo periodo difficile, inizia ad andare dal dottor Braggadocio (Giorgio Montanini), uno psicoterapeuta poco ortodosso che lo invita a uscire dalla sua “zona di confort” attraverso vere e proprie prove, sempre più estreme. Queste, stranamente, iniziano ad avere successo con Marcello, a scapito tuttavia della sua vita personale. Marcello cosa sarà disposto a fare e a rinunciare pur di tornare a scrivere?

La serie, creata da Macchia e diretta da lui stesso e Alessio Dogana, prende spunto, per l’appunto, da una fase della carriera di Macchia, tradotta in linguaggio seriale senza tuttavia la verve tipicamente demenziale e umoristica di Maccio Capatonda. Non vuol dire che non faccia ridere – anzi -, ma Macchia decide di lavorare su uno script che prende molto sul serio questo tema, e che lo sviluppa con la dovuta attenzione e profondità. Gli elementi comici della serie ruotano piuttosto tutti attorno alla figura di Braggadocio, prima per le prove sempre più assurde che il sedicente medico “assegna” a Marcello, e poi per la rivelazione della vera natura del personaggio, cui la serie accenna durante le puntate, ma che rivela solo nel finale di serie.

È tuttavia proprio in questa ultima puntata che si riscontrano i limiti maggiori di Sconfort Zone: questa conflittualità dei toni – tra il serio e il ridicolo – esplode proprio nella rivelazione finale dell’ultima puntata, generando un cambio molto repentino di approccio alla narrazione della serie. Tale cambiamento porta ad una risoluzione che può facilmente essere percepita dagli spettatori come inconcludente, o quantomeno anti-climatica. Oltre a ciò, l’ultima puntata pone dei seri dubbi in merito alla rappresentazione della salute mentale e della terapia come strumento psicanalitico: lungi da noi rovinare la serie rivelandone il finale, ma la serie cade in uno stereotipo della narrazione della terapia stranamente presente in Italia, e non particolarmente lusinghiero o veritiero nei confronti della categoria degli psicologi.

Al netto di una chiusura in parte infelice, Sconfort Zone rimane comunque un’interessante e approfondita discesa nell’inferno peggiore di qualsiasi artista, pronto a tutto pur di continuare a creare, anche a sfidare il proprio limite autolesionista. Anche se alcuni dei fan di lunga data del “re dei trailer” rimarranno un po’ attoniti da questa svolta un po’ più seria di Capatonda, Sconfort Zone dimostra anche il taglio più satirico, personale e introspettivo del talento di Macchia.

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