L’uccello dalle piume di cristallo – per riscoprire Dario Argento
Nel 1970, a cavallo tra gli anni della contestazione e gli anni di piombo, in Italia esordì un giovane regista, che si era fatto strada come critico cinematografico sulle pagine de Il Corriere della Sera, con un film destinato a consacrare al grande pubblico il giallo all’italiana, pronto a trasformarsi in thriller. Si tratta di Dario Argento con L’uccello dalle piume di cristallo, un film prodotto con molte remore e dubbi da Goffredo Lombardo, un film che deve molto alla letteratura e alla cinematografia di genere antecedente, un film che è diventato un cult e che è ora disponibile su Raiplay.
Sam Dalmas (Tony Musante) è uno scrittore americano in crisi creativa che girovagando per le strade di Roma assiste, davanti alla vetrina di una galleria d’arte, al tentato omicidio di una giovane donna. Interrogato dalla polizia, Sam si convince che un qualche dettaglio gli stia sfuggendo, inizia così una sua indagine parallela che metterà a rischio la sua incolumità e quella di chi gli sta accanto.
Argento impara e rielabora a modo suo la lezione di Mario Bava, portando lo spettatore a diretto contatto con l’assassino, vestito di nero e in pelle, attraverso il cui sguardo, in soggettiva, si spiano le vittime, le si immortala e le si massacra. Il sangue, la veemenza, la paura e lo sgomento nello sguardo delle vittime diventano il centro delle scene più crude, nulla è lasciato all’immaginazione e da esse si giungerà facilmente allo splatter e allo slasher. Le prime sequenze de L’uccello dalle piume di cristallo, anche grazie all’apporto sonoro della colonna sonora di Ennio Morricone, generano inquietudine e destabilizzano lo spettatore che passa dal vestire i panni del killer, all’assistere inerme – come Sam davanti alla vetrina – ad un crimine che non può essere interrotto o fermato. Argento introduce, inoltre, l’elemento psicologico, oltre a quello traumatico che sarà la chiave di volta per giungere alla conclusione. Come in un certo Hitchcock, ma anche come nel romanzo La statua che urla di Fredric Brown, è lo shock generato da un trauma mai elaborato a portare alla sadica follia di una vittima che si tramuta in carnefice. La mente è il peggior labirinto in cui l’uomo possa perdersi: nasconde e riporta alla luce in un gioco di specchi che disorientano. Da questo punto di vista L’uccello dalle piume di cristallo è il primo bozzetto di un parabola di detection che si concretizzerà nella versione più completa e riuscita in Profondo rosso. Sono molte le analogie che accomunano protagonisti, assassini e terzi coinvolti per ragioni più personali ed emotive che razionali: a Sam corrisponderà Mark e senza alcun dubbio al gallerista Alberto Ranieri, marito della vittima sopravvissuta, il complesso e disperato Carlo. Argento contorna l’azione dei personaggi principali di individui loschi, meschini, che scivolano riemergono dal buio, reietti che il mondo qualifica e scheda come pericolosi, e inquietanti perché fuori dai canoni. Seppur il film non sia politico, e dunque si sia portato appresso critiche spietate dei contemporanei che nel cinema cercavano soprattutto attivismo e militanza, inserisce all’interno del genere una serie di elementi sociali che, nonostante siano sullo sfondo, lo rendano estremamente connotato, attento all’appartenenza sociale e alle posizioni assunte dai personaggi.
Argento, pur scrivendo il ruolo principale al maschile, dà spazio alle donne che prepotentemente si ritagliano uno spazio che non è da soprammobile (anche qui, la fidanzata di Sem è uno schizzo embrionale del personaggio carismatico e femminista che sarà Gianna Brezzi) e che diventeranno essenziali con il procedere della filmografia del maestro del brivido. L’uccello dalle piume di cristallo non è innovativo solo per la nuova prospettiva di sguardo, ma anche per la dinamicità della macchina da presa che spazia, alterna, zooma e prende la distanza, e un montaggio serrato che mantiene alta la tensione dà un ritmo alla narrazione attraverso un linguaggio filmico complesso e mai improvvisato. Argento non esordisce come un mestierante, ma come un esperto conoscitore del mezzo, tanto da elevare il genere e consegnarlo a un pubblico più vasto che imparerà ad apprezzarlo attraverso l’intera trilogia degli animali, prima della virata verso l’horror. Il controllo, l’intuizione e il salto nel vuoto che Dario Argento compie con il suo esordio sono le carte vincenti di un regista che rischia fino in fondo e che pur differenziandosi dai suoi contemporanei in intenti, è parte viva e pulsante di una generazione che rischia , ama confondere e scandalizzare.