Ahsoka: la formula vincente della galassia Star Wars
I primi episodi lasciavano già ben sperare, ma forse poche persone avrebbero davvero trovato il coraggio di scommettere sulla riuscita di questo nuovo segmento della galassia di Star Wars. Invece Ahsoka è la dimostrazione di quanto in casa Disney ci sia eccome del talento da sfruttare, a condizione di essere lasciato libero di esprimersi. Non è quindi un caso che, tra tutti i progetti prodotti relativamente al brand di George Lucas, siano le opere meno connesse con i personaggi principali, i titoli più “sporchi e cattivi”, a lasciare il segno. Nella produzione cinematografica è doveroso citare Rogue One: A Star Wars Story (2016), mentre nella serialità il suo “fratellino” Andor (2022). Ahsoka si inserisce perfettamente in questo solco, provando a smarcarsi dai ganci che la mettono in relazione alla saga madre e coltivando invece parallelamente un nutrito gruppo di personaggi che poco alla volta sta vedendo sempre più aumentare il proprio carisma e l’affetto del pubblico.
Cresciuti grazie alla fantasia di Filoni, sono ormai quindici anni che questi guerrieri popolano la galassia di Star Wars, di nascosto, nell’ombra della poco apprezzata (ahinoi) animazione. Ora approdano alla sfida della maturità (almeno in termini più popolari): una serie in live action in cui dovranno dimostrare di saper tenere banco senza troppo legarsi (anche se un minimo, inevitabilmente, sì) alla “prima squadra”. L’esito è felice sotto diversi punti di vista ma principalmente due: la consapevolezza del team creativo di dover fare i conti con la contemporaneità in tutte le sue forme e l’ottima struttura televisiva della serie. Andiamo con ordine.
Ahsoka è un personaggio crossmediale. Si muove agilmente tra fumetti, videogiochi, animazioni e serie tv altrui. Ora viene calata sotto i riflettori dedicati esclusivamente al suo carisma ma non vi arriva ingenuamente, sperando di trovare il plauso del pubblico, bensì con un percorso ben consolidato e preciso. Filoni ha intuito che, nella galassia contemporanea (non solo, quindi, in quelle immaginifiche dell’universo di Star Wars), ciò che conta è creare affiliazione, crescere insieme a un personaggio, scomporlo in differenti maschere, contesti, canali di comunicazione per poi raccogliere tutti gli sforzi su un prodotto iconico e in grado di accontentare tutti i palati. Pensateci: Ahsoka è una serie ibrida, che contiene al suo interno tante spie e tanti codici presi in prestito dagli altri “cloni” (iconografici, non androidi) di se stessa.
In seconda battuta però, sarebbe scorretto limitare il plauso a questo prodotto unicamente per la sua capacità di abitare il magma dell’intrattenimento più recente. L’operazione infatti funziona eccome da un punto di vista televisivo: ritmo giusto, bilanciamento efficace tra i vari episodi, tenori drammaturgici elevati, grandi sequenze action, una struttura solida e con tempi dilatati decisamente meno schiavi della bulimica fruizione digitale a cui siamo stati abituati. Ahsoka segue l’esempio di Andor, non quello di The Mandalorian. E questa, che piaccia o meno, è la base dalla quale molta produzione Disney dovrebbe attingere per costruire un intrattenimento di qualità.