Everything Now: tra Euphoria e Sex Education 

 
 

Tra pub culture, prime volte consumate nell’intimità delle tende da campeggio e una colonna sonora dedicata agli artisti di punta della UK Charts, Everything Now restituisce una rappresentazione alquanto accurata del Regno Unito dal punto di vista culturale, tralasciando talvolta, rispetto al suo predecessore Sex Education, l’opportunità di approfondire questioni delicate con la sensibilità che meritano

Dopo sette lunghi mesi di riabilitazione dall’anoressia, Mia si ritrova catapultata in un mondo che non riconosce più: la velocità con la quale gli adolescenti accumulano esperienze di vita è impressionante e sente di aver perso l’equivalente di una decade in termini empirici. I suoi amici non sembrano più gli stessi e hanno sviluppato un rapporto con alcol, droghe e sesso, cambiando irrimediabilmente il loro modo di comportarsi. Da qui parte il percorso della protagonista per reintegrarsi in una comunità dalla quale si sente squalificata, nella disperata corsa verso quella che per lei significa normalità. Mia sente gravare su di sé l’etichetta associata al suo disturbo alimentare e redige una lista, nel tentativo di esplicitare su carta tutta quella serie di elementi che ancora non le appartengono e che la fanno sentire soggetta al giudizio sociale. 

La rappresentazione del cibo e quella delle esperienze adolescenziali si intrecciano con la tematica dei disturbi alimentari, laddove la costante ansia del bolo che si deposita sullo stomaco si scontra con la fame incontrollata di emozioni pronte all’uso: ogni punto della lista deve essere immediatamente consumato per soddisfare le aspettative altrui, anche se questo significa bruciare il primo bacio sulle labbra della propria migliore amica o vomitare incontrollabilmente davanti a tutti gli invitati di una festa. Il bulimico rapporto sviluppato con le emozioni forzate trova senso solo nella mente di Mia, contrastata costantemente dai suoi stessi amici nella sua urgenza di esperire tutto e subito. Così la verginità come costrutto patriarcale nelle parole di Becca viene traslata in un profondo silenzio davanti al desiderio autoindotto della protagonista di esperire la sessualità a tutti i costi, volontà che si visualizza indirettamente nella decisione di ripulire la sua camera da tutti i ricordi d’infanzia.

Proprio nella rappresentazione sessuale risiede il più grande difetto della serie: per quanto si sforzi di restituire un ambiente queer friendly e rappresentare una lecita confusione adolescenziale, le dinamiche riguardanti la fisicità finiscono per essere sempre ricollegate a situazioni di disagio familiare, fantasie erotiche e rapporti guidati dalla disinibizione suscitata da sostanze e alcolici, riportando su schermo esclusivamente relazioni tossiche e prive di sentimenti veri, avvicinandosi più al mondo adolescenziale dark e artificioso di Euphoria che a quello più empatico e autentico di Sex Education. Il rapporto tra Mia e il sesso è estremamente condizionato dalla paura di esporre il proprio corpo nudo davanti ad un altro, timore espresso inizialmente attraverso la scelta dell’abito per il suo primo appuntamento con Theo, in un inevitabile e duro confronto con lo specchio. Il dismorfismo corporeo viene declinato anche dal punto di vista clinico, con la scena nella quale la ragazza deve disegnare la propria sagoma davanti al medico, sentendosi ingannata davanti alla realtà dei fatti.

Il disagio emerge anche attraverso il suo rapporto con la moda e con la definizione delle sue forme corporee all’interno dei vestiti che indossa, non sentendosi mai abbastanza femminile, sfatando al contempo il mito dell’anoressica alla ricerca della taglia zero. In fuga dalla terapia, vista solo come un obbligo, e affogata dalle superficiali considerazioni sulla sua condizione, venendo esposta indesideratamente sui social come #anorexiawarrior, Mia affronta una seconda riabilitazione, quella nel mondo esterno alla clinica, sublimando i suoi dolori in una relazione prima con Alison, anti-stereotipo della mean girl cisgender, e poi con Carli, interessante esclusivamente nelle modalità in cui viene incorniciata dagli occhi di Mia durante la scena del suo presunto innamoramento. Entrambi i rapporti appaiono guidati dal suo stato di profonda vulnerabilità e non da una vera volontà di viverli: il primo viene definito come una “prova” dalla protagonista stessa e il secondo come una “fantasia” da Carli, facendo sicuramente diversi passi indietro rispetto alle rappresentazioni queer proposte da prodotti come Heartstopper. Il personaggio di Will, quasi speculare a quello di Mia nelle azioni e negli intenti , risulta particolarmente stereotipizzato nel modo in cui performa e vive il suo orientamento sessuale, fingendo di avere rapporti sessuali mai consumati per impressionare gli altri e interrogandosi sulla sua incapacità di amare davvero, senza mai sistematizzare davvero la questione. 

Anche sul piano delle relazioni eterosessuali non vi sono rivelazioni sorprendenti: il rapporto tra Cameron e Becca è presentato come estremamente problematico, con picchi di slut shaming, incomunicabilità, gravidanze nascoste e la sublimazione da parte di Cam di un amore non ricambiato nella costante ricerca d’intimità con altri corpi. Dall’altro lato, Alex, fratello di Mia, è diviso tra la paura di sentirsi eterno secondo in famiglia e di apparire troppo incel o troppo simp davanti alla ragazza che gli piace, in una perpetua assenza di confronto che culminerà con un episodio di revenge porn. Per quanto la serie tenda a risolvere in positivo le diverse situazioni e di rimettere in ordine i sentimenti dei diversi personaggi, le soluzioni proposte non posseggono la forza tale da mostrare agli spettatori momenti particolarmente significativi e di adeguata riflessione sulle tematiche trattate.

D’altra parte, il punto di forza di Everything Now risiede nel rapporto tra mondo adolescenziale e adulto, pronto all’ascolto e al supporto dei giovani, ma soprattutto libero dai tabù sulla queerness, accolta anche dalla fetta più anziana della società. La madre di Rebecca è la prima a porre la figlia davanti al libero arbitrio nel momento in cui deve affrontare una gravidanza improvvisa, esattamente come il padre di Mia dimostra costante supporto nella battaglia della figlia e come la madre le corre in aiuto di fronte al ritorno delle mestruazioni, momento di riconoscimento chiave per i piccoli importanti miglioramenti della protagonista nella sfida contro la sua malattia. Inoltre, Vivienne si dimostra pronta ad affrontare naturalmente il discorso sul sesso con i propri figli, parlando di prevenzione e autostima. Il personaggio risulta particolarmente interessante nelle dinamiche riguardanti il divorzio dal marito, nel quale è visibile lo stigma sociale della donna come vera colpevole in caso di separazione, persino davanti agli occhi della prole. Infine, si sottolinea quanto il ruolo delle istituzioni sia fondamentale nel percorso di guarigione del paziente, in quanto solo ritornando dal suo medico Mia riesce finalmente a capire le strade da intraprendere per raggiungere l’accettazione attraverso la trasparenza e la sincerità e sentendosi finalmente all’altezza della sua sfida.  

Nonostante un esordio non totalmente brillante, Everything Now si presenta come un prodotto altamente connotato e dalle molteplici potenzialità, nell’auspicio di un ritorno di stagione più attento alla scrittura dei personaggi e all’articolazione delle situazioni.

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