Avicii e l’importanza di essere Tim Bergling
I documentari Avicii - I’m Tim e la sua appendice Avicii – My last show (Netflix) raccontano la vita di Tim Bergling, in arte Avicii, attraverso filmati privati, testimonianze registrate dello stesso musicista e degli amici e parenti che lo hanno accompagnato durante la sua vita. Il quadro che ne emerge è di un ragazzo estremamente sensibile, con una capacità naturale di fare musica che però si scontrava con le regole dell’industria discografica. Per riuscire a reggere i ritmi degli eventi e di produzione, Tim inizia piano piano a perdersi, a interpretare un personaggio (Avicii) che non lo rispecchia più. Inizia ad abusare di alcol e poi di antidolorifici. Nella sua vita inizia a farsi largo l’ansia, la depressione, che però riesce a mascherare e dissimulare. Avicii da una parte ha successo, inizia una produzione frenetica e rivoluzionaria, dall’altra perde sempre più la gioia di fare musica. Nel tentativo di superare questo momento di scoramento cerca prima di spingersi a contaminare la sua musica con generi diversi, facendo collaborazioni con artisti provenienti da mondi totalmente diversi come il folk o il rock. Ma questo non basta e arriva il ritiro dalle scene sancito con un ultimo show a Ibiza il 28 agosto 2016, dove canta tutti i suoi brani. Questo evento è raccontato in Avicii – My last show, una sorta di complemento dove ad alcuni estratti del concerto si alternano interviste e momenti di registrazione ripresi, ma ampliati, da quelle presenti nel documentario principale. Grande attenzione è data alle emozioni che gli spettatori provano durante il concerto, dall’euforia fino alla commozione.
Dei due Avicii - I’m Tim è sicuramente l’opera più interessante delle due perché è quella che più di tutte riesce a dare un assaggio di quel “Tim” che si cela dietro Avicii. Lo scopo del documentario è quello di proseguire il lavoro della Tim Bergling Foundation, creata dai parenti del musicista per aiutare le persone con problemi di salute mentale.
Chi soffre o ha sofferto di depressione, specie quella legata alle aspettative di vita, si ritroverà in Tim Bergling alla fine del documentario. Henrik Burman racconta di un Avicii che cerca disperatamente di essere soddisfatto di quel che ha, ma che non riesce a scendere a patti con l’ansia e il malessere in cui si è ritrovato. Lo scopo della narrazione è quello di mettere in guardia le persone. L’artista ha infatti ottenuto la fama costruendola a testa bassa, creando brani e facendo concerti per il mondo senza mai concedersi una pausa. Ad un certo punto Tim Bergling si è reso conto di non essere felice e di non riuscire più a rispecchiarsi nel suo alter ego Avicii. La drammaticità dell’evento è sottolineata attraverso la testimonianza stessa del musicista che racconta di quanto fosse in difficoltà. Di fronte a una capacità così cristallina di raccontarsi e alle testimonianze di amici e parenti che raccontano quanto sembrasse sereno Avicii nell’ultimo tempo, diventa importante capire una cosa: non sempre le persone che hanno problemi di salute mentale mostrano il loro disagio in maniera esplicita, ma possono anche dissimularlo in maniera estremamente convincente. Si potrebbe fare lo stesso discorso anche per Chester Bennington, che si è tolto ugualmente la vita nel 2017, ma anche per tantissime altre persone comuni e star. Avicii non aveva problemi familiari particolari, non viveva in un contesto disagiato. Ormai è fortunatamente sdoganata l’idea che chiunque possa soffrire di depressione e ansia.
Il documentario Avicii - I’m Tim e Avicii – My last show hanno un duplice scopo: da una parte celebrare la vita di Avicii/Tim Berling, dall’altra concentrarsi sul suo malessere per dare modo agli spettatori di sensibilizzarsi sulla tematica. Nel finale appare infatti la scritta: "Se tu o qualcun altro che conosci ha problemi di salute mentale o pensieri suicidi, informazioni e risorse sono disponibili su wannatalkabout.it.com". Non ci resta che accogliere l’invito e aiutare noi stessi e gli altri se necessario.