Nutcrackers – Piccole canaglie sulle note di Čajkovskij
Quella di David Gordon Green è una filmografia alquanto variegata per generi di riferimento, dal demenziale di Strafumati e Lo spaventapassere, alla commedia amara Prince Avalanche, fino al dramma puro di Joe e all’horror, con gli ultimi tre Halloween e L’esorcista – Il credente. Ma esiste un comune denominatore tematico-stilistico che fa di Green un vero autore, ovvero quello sguardo sull’America contemporanea amaro e compassionevole al tempo stesso, ma a volte anche critico verso il sistema politico (la trilogia finale di Halloween), in grado di creare una poetica autoriale abbastanza riconoscibile persino nelle sue derive più apparentemente sgangherate (vedi il filone demenziale).
Nutcrackers tenta di proseguire questo sguardo dolceamaro sulla società statunitense, applicandolo alla figura stralunata e fuori contesto di Ben Stiller, interprete e autore che ha esplorato a volte fino al culmine della tristezza esistenziale i confini della sua vis comica, quale diretto discendente dello schlemiel ebraico come spesso accade ai clowns.
Dello Stiller malinconico e perplesso di I sogni segreti di Walter Mitty e di quello più maturo e ad un passo dal registro drammatico delle tragicommedie di Baumbach (Lo stravagante mondo di Greenberg, Giovani si diventa e The Meyerowitz Stories), resta solamente una labile traccia, il sorriso increspato di un commediante misurato e profondo ma spesso depotenziato da uno script debole che oscilla continuamente tra rigidità narrative, gag un po’ spuntati e una certa dose di manierismo sentimentale.
Una volta tanto il personaggio stilleriano non ha a che fare con problemi di cuore, ma con una ciurma di bambini pestiferi (figli della sorella defunta) di cui si deve prendere cura all’interno di una fatiscente fattoria.
La prima parte è quasi tutta giocata sul classico confronto/scontro tra il cittadino e la bucolica vita campagnola, in cui Stiller non può non ricordare (almeno in parte) il Chevy Chase di L’allegra fattoria, con l’aggiunta di trovate comiche più infantili per via della presenza dei bambini in scena, che traghetta la commedia verso il filone delle Piccole canaglie, senza dimenticare la Jodie Foster quindicenne di Una ragazza, un maggiordomo e una lady.
David Gordon Green però si diverte anche a richiamare in chiave ludica le atmosfere lugubri della sua parentesi orrorifica, disseminando elementi e codici espressivi che strizzano l’occhio ad Halloween e al folk horror (la maschera del coniglio, l’ascia, lo spaventapasseri), per poi passare dal comico fracassone in cui regna il mito dell’enfant sauvage a una commedia agrodolce con il confronto generazionale e sentimentale fra l’adulto e i bambini. Green ha il tocco delicato nel trattare una materia narrativa da letteratura young adult e Stiller ha il giusto aplomb per calarsi nel ruolo che gli viene assegnato, coadiuvato da uno stuolo di giovanissimi interpreti tutti all’altezza, ma l’amalgama di umorismo e riflessione seria non funziona fino in fondo, anche per un finale raffazzonato e un tantino prevedibile.
Il balletto conclusivo sulle note de Lo schiaccianoci di Čajkovskij, nel quale si esibiscono i ragazzini protagonisti, funge da classica postilla edificante e natalizia ma forse ci si arriva troppo tardi, quando ormai la storia aveva presa una direzione narrativa ben precisa e quindi il finale sa inevitabilmente di chiusa posticcia.