Call My Agent Italia
Riassumendo, si può dire che Call My Agent Italia è una serie ben scritta. Ma che cosa significa? Da tempo la comunità cinefila si sofferma spesso su un paradosso che nella migliore delle ipotesi crea dibattito e nella peggiore fa sorridere. Ci riferiamo al curioso vizio di forma per cui candidare un remake nella categoria Miglior sceneggiatura non originale è considerato legittimo e rispettoso. In primo luogo, legittimo perché? Non certo in relazione agli altri nominati nel medesimo gruppo in quanto effettive riduzioni letterarie, che comunque di “non originale” hanno pochissimo. Secondariamente, rispettoso nei confronti di chi? Difficile si tratti degli autori che quel film l'hanno scritto. Ma non crediamo neppure che ciò faccia onore in qualsivoglia modo a chi aveva realizzato il film di cui si è tradotto il soggetto. Insomma, è evidente che ci sia molta confusione a proposito di cosa sia un soggetto, cosa sia una sceneggiatura e soprattutto cosa significhi progettare un remake.
In questo senso la versione Sky della serie TV francese Chiami il mio agente! (Dix pour cent, 2015-2020) potrebbe esser elevato con profitto a studio di caso universitario. Sì perché dall'analisi dell'adattamento tramite comparazione di eventi e personaggi forse ci si stupirebbe della sofisticatezza di un'operazione che sulla carta sembrava avere ambizioni assai ridotte. Apparentemente, guardando alla reazione del pubblico, gli episodi più riusciti sarebbero quelli “nuovi”: il secondo, il quarto e il sesto. Paolo Sorrentino, Matilda De Angelis e Corrado Guzzanti sono infatti immersi in sottotrame non derivative dall'originale d'Oltralpe, ma anzi, immettono nello sviluppo dell'arco narrativo le proprie peculiarità divistiche con successo. Chi scrive è però convinto che il vero miracolo di Call My Agent Italia stia invece proprio nella rilettura di situazioni drammaturgiche già presenti nel modello e, in particolare, nella capacità di sintesi.
Da una parte la figura di Sofia, centralinista afrodiscendente che a differenza dell'omonima francese non esplicita di voler diventare attrice. È l'agente Gabriele (Maurizio Lastrico), innamorato di lei come lo era Gabriel di Sophie, a insistere perché lei faccia provini e ad imporla su un set approfittando del politicamente corretto sulle quote diversity scaturito presto in una sorta di moda produttiva. Una condizione di ambiguità, questa, tutta italiana considerando che nella Francia post-coloniale è presente una ben maggiore ricchezza etnica all'interno del mondo dello spettacolo.
Dall'altra parte troviamo le variazioni sui temi di Jean Dujardin e Isabelle Huppert negli episodi partecipati rispettivamente da Pierfrancesco Favino (e Anna Ferzetti) e Stefano Accorsi. Esempio di creatività “all'italiana”, che ricorda i ricicli delle battute nelle commedie dei tempi d'oro, vede Lea raggiungere casa Favino come Andrea quella di Dujardin per risolvere un problema di metodo recitativo, ma scavalcandone il cancello come il personaggio francese aveva fatto invece nella vicenda che riguarda François Berléand e la fobia delle piscine. Con parole di René Ferretti: genio! Ma mirabile anche la rilettura dell'avventuroso inganno di Huppert con un bel più isterico Accorsi.
A proposito di Boris, è evidente come Call My Agent Italia sia un prodotto se non figlio almeno figliastro di quella sensibilità. A più riprese, infatti, si ha la sensazione che chi sta dietro la sua progettazione conosca benissimo i rischi. Non solo, l'operazione di adattamento diventa una vera e propria riformulazione, quasi fosse una versione dal latino o una parafrasi. Ad ogni modo, un lavoro di secondo livello. Ammirazione e rispetto per il materiale di partenza sono indiscutibili, ma è consapevolmente elusa ogni forma di timore reverenziale. Quindi l'autoironia, i riferimenti al modello con tanto di citazioni dirette come ci si trovasse nel medesimo universo narrativo, le dislocazioni drammatiche, fanno sì che nell'anima la serie Sky si riveli autonoma e riuscita.