Camden: una lettera d’amore alla contro-cultura, musicale ma non solo.
Camden. Camden Town, Camden Lock, Camden Market. Molto probabilmente è il posto dove buona parte della musica pop - intesa come popular - che conosciamo oggi ha la sua origin story. Situata nella zona Nord di Londra, a Camden la celeberrima bandiera “Punk is not Dead” svolazza ancora per riconfermare la sua identità unica e invincibile da quartier generale della cultura anticonformista, luogo dove sono stati scoperti talenti, dove hanno preso vita suoni e dove si è costruito un immaginario di costume, partendo da piccoli shop second hand.
In questi quattro episodi suddivisi per tema, o meglio per “genere” affrontato, si mescolano reperti veri e propri d’archivio audio-video del passato ad immersioni nelle voci del presente, Dua Lipa su tutte e tutti (che tra l’altro ricopre nella miniserie anche il ruolo di producer). È attraverso queste voci di ieri e quelle di un oggigiorno quanto più dislocato, da un punto di vista musicale, che le immagini di Camden ci ridanno sicurezza, proprio come quella punk-bandiera che mi è capitato di ammirare personalmente più di una volta a distanza di più di dieci anni, sempre al medesimo punto - mentre sullo sfondo si staglia la caratteristica architettura verticale in mattoncini che porta a Camden Lock -; le immagini presenti in questa docuserie ci confermano come certi posti, questo bellissimo e vitale quartiere, nonostante le mutazioni e trasformazioni sociali in corso e sempre più veloci, rimangano un porto sicuro di preservazione di qualcosa di più intimo e profondo.
E sì, alcune scenografie vengono rimodellate, ma ci ritroviamo una fermezza, una forza che ritrae Camden fedele alla sua nascita: alcuni storici pub e liveclub non ci sono più, altri sono perennemente in pista da ballo mentre ne sono nati di nuovi ma ciò che più conta è la gente, il popolo della notte che non è mai stanco di ballare e di suonare, di scolare pinte di birra gelata, ma non troppo, o di soffocare la propria vita urlando, di dolore o di speranza. Ed è per tutto questo che abbiamo le fotografie, i murales di Amy Winehouse, le riprese video amatoriali del primo micro appartamento di Questlove dei The Roots, situato al di sopra del più buono fish-and-chips di Camden a sua detta, lui che si è trasferito proprio nel Quartiere con la speranza di avere una possibilità che non aveva nei sobborghi di Philadelphia a ritmo di drum n’ bass.
Gli innumerevoli negozi di dischi in vinile dove Dua Lipa era solita fare incetta di ritmi, vocalizzi e campionamenti per quella che sarà la star del futuro, lei apparentemente partita come fenomeno liquido e digitale delle piattaforme e di YouTube ma è una figlia di Camden, del suo respiro e delle sue luci, come confessa a cuore aperto facendoci da guida tra gli scaffali e tra luoghi di culto dell’underground, come Cyberdog. I ravers, la cultura clubbing in un ponte rettilineo fra ieri ed oggi, i New Romantics e il loro alfiere Boy George, le produzioni di Mark Ronson e la grande stagione della black music inglese che proprio a Camden trova sfogo per la prima volta in un target di pubblico eterogeneo: Soul II Soul, Sweet Love di Anita Baker remixata in chiave clubbing da M-Beat che regala una vera e propria epifania ai The Roots appena atterrati - letteralmente - in Inghilterra alla ricerca della propria voce, che arriverà con You Got Me.
Infine, le immagini del videoclip di Lowlife di Yungblud (2023) ci riproiettano e tributano il presente di Camden, un quartiere che ha lottato, ha visto nascere e morire suoni e personalità ingombranti: negli episodi si va in avanti ed indietro continuamente, si ritorna fino ai Clash, alla stagione folle di inizio duemila dei The Libertines di Pete Doherty e Carl Barat, ancora fortunatamente in attività, ai mitici Madness che danno inizio, forse a tutto a metà 70s ad incursioni di due grandissime star come Noel Gallagher dei “ritrovati” Oasis e Chris Martin dei Coldplay. In un universo musicale sbandato rivolto sempre più all’omologazione, fra autotune e talent-star, Camden recupera una perdita di centro, riesce a mostrarci espressamente delle coordinate temporali e geografiche che ci fanno bene al cuore e soprattutto in toto all’intero mondo dell’arte, nella sua complessità.