The Penguin: A Gotham, tra conflitti sociali e crimine organizzato
Con lo sguardo tagliente, il Pinguino osserva la distruzione di Gotham ad opera dell’Enigmista, responsabile di aver fatto saltare la diga sommergendo la città. Sembra l’inizio di un classico cinecomic catastrofista, ma è la serie spin - off di The Batman, coprodotta da Matt Reeves e ideata da Lauren LeFranc, garanzie di autorialità oscure e di immersioni nell’immaginario filmico classico; a certificare un ritorno al citazionismo crime del passato, ci pensa Colin Farrell, uno spietato villain, reduce dal revival neo-noir della serie tv Apple Sugar, che ci mette corpo e anima (nera) nella costruzione del feroce antagonista del pipistrello.
Immagini, profondità di sguardo e atmosfere tetre gettano ombre minacciose su una città marcia, in cui impera il caos e la disuguaglianza sociale. Le tante iperboli ad alto tasso adrenalinico, oltre che l’accumulo di flashback e l’azione strabordante, non sono dunque al servizio di un omologato cinecomic, ma seguono il corso che Reeves ha impresso alla DC, trasformando le mirabolanti imprese del Batman di Snyder in un affresco criminale di pregevole fattura, senza intermezzi ludici o le parentesi fumettistiche convulse di tanto cinema surrealista DC.
Impera il realismo, nelle otto puntate di The Penguin, serie HBO granitica e crepuscolare che racconta le imprese fuorilegge di Oswald “Oz” Cobblepot, ed è un realismo che esclude qualsiasi elemento soprannaturale, concentrandosi sui due piani convergenti dell’indagine psicologica e della radiografia familiare dei clan protagonisti. Uno spaccato sociale, un ritratto di famiglie che rimanda ai Soprano o ai film di Scorsese, rimanendo ancorato saldamente a toni tragici e al doppio binario tematico che analizza la corruzione di Gotham e la scalata al potere di colui che crede di essere un “uomo del popolo”, oltre che uno stratega amorale sporco di sangue.
The Penguin è, in effetti, sia il viaggio psicologico nella mente di un criminale, sia una lucida rappresentazione delle dinamiche di potere che oppongono gruppi rivali, famiglie disfunzionali e politici corrotti, all’interno di un contesto che adombra la distopia e racconta la disuguaglianza socio-economica, oltre che una vera e propria lotta di classe: gli spazi urbani dei ricchi, saldamente ancorati a piani edilizi privilegiati e, ad esempio, Town Point, nell’East Side, dove i quartieri periferici sono stati distrutti dalla furia dell’Enigmista.
Oltre a Colin Farrell, imbolsito, dinoccolato e irriconoscibile nei panni del pinguino, sulla scena si impone, con nera grazia, Sofia Falcone (Cristin Milioti), mettendo al servizio della storia uno spietato ribellismo femminista contro il patriarcato del suo clan. La donna è portatrice di una sensualità vorace e perversa, e di un’affilata e strategica follia che provengono dal suo traumatico vissuto e dalle vessazioni subite presso Arkham.
Di straordinaria complessità e dal forte impatto visivo, The Penguin ha anche il merito di tracciare le coordinate socio-culturali per l’identificazione di un’America messa a ferro e a fuoco da outsider in cerca di riscatto: “L’America è una truffa”, sostiene Oz Cobblepot, mentre brinda al papà del suo fedele alleato Victor Aguilar, uno dei tanti “stranieri in terra straniera” nel paese delle grandi opportunità.