Greek Salad: un piatto confuso e insipido
Quando si pensa prima al pubblico (di massa) che alla propria visione, e prima alle dinamiche dell’industria che alla personale idea narrativa, le possibilità sono due: o si è davvero fortunati o si fa Greek Salad.
La nuova serie firmata Cédric Klapish vede la luce vent’anni dopo L’appartamento spagnolo e debutta su Prime Video il 14 aprile 2023 con una prima stagione di otto episodi che riecheggiano la babele linguistica e culturale del film del 2002, senza però avvicinarsi al livello della trilogia del primo Klapish (di cui si ricordano i sequel Bambole Russe del 2005 e Rompicapo a New York del 2013).
Greek Salad ripete in qualche modo la struttura del suo genitore di una generazione prima (l’anno all’estero, i nuovi incontri, i nuovi amori, le nuove amicizie e lo spirito idealista dei vent’anni) -recuperando parte del cast originale con le meravigliose interpretazioni di Romain Duris, Kelly Reilly e Cécile de France che continuano ad essere Xavier, Wendy e Isabelle ormai in età matura- e lo fa adattandosi ai temi moderni e alle nuove necessità del momento.
Un’operazione che avrebbe potuto essere molto interessante se non fosse stata compiuta in maniera (pur)troppo raffazzonata. Nel seguire le avventure di Mia e Tom – i figli ventenni di Xavier e Wendy - e del loro periodo ateniese tra volontariato in ONG, case occupate e inaspettate eredità, si infiltrano argomenti che risultano forzatamente politicanti più che sentitamente politici. Vengono infatti passati in rassegna tutti quelli più scottanti e sofferenti ma senza profondità, solo perché “va detto”. Ecco che migrazione, stupro, #MeToo, sessualità, guerra, maschilismo e razzismo – di cui è fondamentale che si continui a parlare e a parlare con sincerità e coraggio - risultano in realtà solo dei pretesti per un’operazione di marketing che li offre al pubblico sottoforma di cliché narrativi già masticati e senza spessore. La mano della scrittura risulta così evidente e a spezzare la prevedibilità di molte dinamiche sono solo alcuni momenti in realtà quasi gratuitamente cruenti dal momento che continuano a sembrare forzati. Troppo in fretta la serie perde infatti di credibilità, anche a causa di una combinazione di coincidenze assolutamente bizzarre che rendono il racconto a tratti poco verosimile.
Ciò non toglie che l’interpretazione degli attori, l’atmosfera delle case occupate greche, del mare, delle lingue che si mescolano, delle nascenti tenerezze, del sentimento e della collaborazione giovanile e umana di questa comunque gradevole “feeling good” dramedy dolceamara sulla solidarietà qualcosa di buono lo regalano: una sorta di vibrazione positiva e talvolta commovente, che avrebbe avuto il potenziale per essere qualcosa di più grande, anche considerando il lascito della famosissima saga di cui costituisce in qualche modo un approdo (forse) ultimo.
Se solo infatti si fosse scelto di non accatastare in pochi episodi tutto lo scibile sociale del momento ma di concentrarsi su alcuni dei punti menzionati sopra, e si fosse scelto di guardarli e approfondirli con un’autenticità diversa, l’opera sarebbe stata certamente più organica, più vera e soprattutto meno disassemblata.
Greek Salad risulta infatti veramente un’insalata greca di fatti frettolosi, filoni narrativi lasciati un po’ a penzoloni, personaggi che entrano ed escono di scena, alcuni in maniera completamente indifferente, solo per essere il trampolino di lancio per qualche argomento o nuova situazione, ognuna delle quali avrebbe avuto la dignità di essere raccontata con attenzione ma è finita invece schiaffata nello stesso calderone con mille altri ingredienti diversi.
Il risultato: un piatto confuso e insipido.
Sarebbe bastata un po’ di salsa per fare da collante, oppure una selezione più limitata e accurata di ingredienti.
Mai dimenticare il motto less is more.