Kaos: il tempo del confronto
Considerato uno dei capolavori di Paolo e Vittorio Taviani, Kaos è un’opera tra le più significative della produzione cinematografica italiana degli anni Ottanta, disponibile ora su RaiPlay nella versione integrale (valorizzandone a pieno il potenziale espressivo e contenutistico), che riprende l’impianto favolistico del precedente La notte di San Lorenzo (1982) per proseguirne il discorso sul passato.
Reinterpretando alcune delle Novelle per un anno di Pirandello, i Taviani sviluppano un’interrogazione sul senso dell’esistenza che nell’aspro paesaggio siciliano – simile a quello sardo di Padre padrone (1977), con cui Kaos condivide anche la medesima concezione della natura – trova la rappresentazione romantica della condizione interiore dei personaggi, dei loro conflitti e relazioni. Ambientati nella Sicilia del primo Novecento, i quattro episodi e l’epilogo che costituiscono la struttura narrativa della pellicola sono storie contadine oniriche e surreali di umiliati e offesi ma anche di riscatti e conquiste. Una vecchia madre ormai dimenticata dai figli emigrati ripudia il solo rimastole docile e devoto, per la sua somiglianza con l’uomo che l’ha stuprata (L’ultimo figlio); il tradimento pianificato ma non consumato di una giovane sposa, il cui marito è affetto da un misterioso e inspiegabile male (Mal di luna); la rivalsa morale dei braccianti sul loro padrone costretto a fracassare un’enorme giara, ostentato simbolo di ricchezza e potere (La giara); alcuni contadini lottano contro gli amministratori terrieri per far seppellire il loro patriarca sulle colline vicine invece che in un lontano cimitero di città (Requiem); infine un Pirandello ormai stanco di vivere dopo la morte della madre, torna nella sua casa d'infanzia per un “colloquio” con la defunta, in un confronto sempre rimandato con un passato irrisolto (Colloquio con la madre).
Quando lavora alle Novelle, Pirandello è all'ultima fase della sua produzione, quella dei miti, “racconti e di fabulae nelle quali sul piacere della narrazione pura prevale un ‘intento di ordine retorico-persuasivo, volto ad argomentare a favore della nuova visone del mondo che novelle, romanzi e drammi predicano senza sosta’” (Andrea Grillini), quali riflessioni sulle problematiche del vivere umano. Ecco allora che Kaos si fa profonda riflessione sul senso delle relazioni in una società caotica e mutata come quella coeva, che negli anni Ottanta diceva definitivamente addio alla dimensione antica ancora sopravvissuta al grande mutamento del primo boom economico.
“Io dunque sono figlio del Caos; e non allegoricamente, ma in giusta realtà, perché sono nato in una nostra campagna, che trovasi presso ad un intricato bosco, denominato Càvusu dagli abitanti di Girgenti; corruzione dialettale del genuino e antico vocabolo greco Kàos”. La citazione pirandelliana che apre il film sullo sfondo del Tempio di Segesta risulta essenziale per comprendere l’operazione dei Taviani. Nel mito greco Kaos è la personificazione dello stato primordiale antecedente la creazione del cosmo, degli dei e degli uomini: non solo dunque lo scrittore si dichiara figlio di Caos essendo nato nell'omonima località, ma anche discendente del Kaos mitologico, da cui tutto ha preso origine. Per i fratelli registi è necessario dunque volgersi a un contesto ben lontano da quello presente. Un ritorno alle origini, una dimensione che idealmente può ritrovarsi in quell’arcaico e mitico, o caotico appunto, “teatro di una feroce lotta per l’esistenza, manifestazione violenta e diretta delle passioni primarie, [segnata] da forze che sono naturali e soprannaturali ad un tempo [come] la luna che incanta e marchia Batà bambino [o] l’ombra notturna che passando sull’aia sembra produrre, come in un sortilegio, la rottura della giara” (Lorenzo Cuccu).
Spetta allora all’intellettuale, come al Pirandello dell’epilogo, il compito di riflettere sul passato per interpretare il presente. È infatti nel rientro al paese e alla casa paterna, nel confronto con la madre e con i suoi fantasmi (il Saro di Mal di Luna che torna nelle vesti del vetturino), col proprio caos interiore, che lo scrittore comprende l'importanza di non vivere solo chiuso in se stesso, ma di aprirsi a ciò che ha intorno. Un invito a guardare all’oggi non con sguardo nostalgico per un tempo che non c’è più, bensì aperto a un futuro da costruire memore però sempre di una coscienza storica e civile, individuale e collettiva.