American Fiction: nuove sfumature di nero

 
 

L’esordio registico di Cord Jefferson (anche giornalista, sceneggiatore televisivo) si ispira a Erasure, un satirico romanzo di Percival Everett, (versatile autore che si diletta a scrivere novelle, racconti grotteschi, letteratura per ragazzi) best seller dell’inizio del secondo millennio. Lo storytelling (spesso ironico) della pellicola sembra essere incentrato sulle differenti “sfumature di nero (da black a nigger)”, sulle stratificazioni linguistico-sociali (dal lessico dell’uomo di colore borghese e benestante a quello di chi vive nel ghetto più squallido). 

Questa variegata gamma di registri stilistici (che si rivela nella descrizione dei caratteri e nei salaci e raffinati dialoghi) si accompagna a contrappunti musicali (esemplare partitura jazz di Laura Karpman) che si distinguono per “note” difformi ma sempre pertinenti (la canzone che apre le danze è Without You degli Ace Spectrum, dalle trascinanti sonorità soul/funky/R&B e quella che chiude nei titoli di coda è Autumn Leaves di Julian Cannonball Adderley, romantica e malinconica cover de Les feuilles mortes, entrambe realizzate nei rivoluzionari anni ‘70). 

La trama, triste e divertente “come un uomo che muore seduto sulla tazza del water”, narra delle vicissitudini di Thelonious Ellison, un professore universitario afroamericano che insegna letteratura inglese, chiamato da tutti Monk (non casuale riferimento al geniale ed eclettico pianista/compositore). Ellison è anche uno scrittore a cui piace studiare la mitologia greca e pubblicare testi basati sulla rielaborazione di tragedie come I Persiani di Eschilo, in cui protagonisti sono spettri paterni, guerre civili e scontri generazionali. Dato lo scarso successo commerciale dei suoi volumi, egli decide di mettere “nero su bianco” una storia ricca di situazioni stereotipate, con genitori assenti o maleduca(n)ti e figli tossicomani, rabbiosi, alla perenne ricerca di un improbabile futuro riscatto. Inaspettatamente il testo, quasi steso per spirito giocoso e provocatorio, ottiene un ottimo riscontro di critica e di pubblico con una serie di inevitabili conseguenze, non tutte positive, nei rapporti lavorativi, familiari e di coppia.

“I libri cambiano la vita delle persone” dice Lisa, la sorella di Thelonious (interpretata da Tracee Ellis Ross, figlia dell’iconica cantante Diana Ross) destinata a modificare l’esistenza delle persone a lei vicine. E mutano anche i ricordi evocati come fantasmi della memoria che si illuminano con contorni più de-limitati. Nel buio della crisi ogni personaggio aspirerà a trovare la sua luce/verità (anche sotto i riflettori) e Cristina Dunlap è magistrale nella direzione della fotografia che ben rispecchia stati d’animo e ambienti.

American fiction si può definire una dark comedy che mette alla berlina la società statunitense e i suoi media ormai impregnati di narcotizzanti luoghi comuni e influenzati da un pervasivo comportamento politically correct, che (pre)giudica in modo (e)semplificativo soprattutto gli orientamenti etnici e sessuali. L’uomo a una dimensione (preconizzato da Marcuse), dapprima solo consumatore di merci, diventa (s)oggetto di un pensiero unidirezionale allo scopo di costruire una comunità asettica, inerte e conforme agli attuali target socio-culturali (non più solo di classe) dell’economia dominante. 

Il volto dell’attore protagonista Jeffrey Wright (memorabile il “suo” Basquiat nel 1996) è l’espressione sublime di questi disagi e mostra gradazioni sentimentali che sottolineano fragilità emotive e perplessità/incongruenze intellettuali fino all’incredulità nel “riconoscimento” di un ambito premio letterario. Il film ha vinto Oscar per migliore sceneggiatura non originale, autentico paradosso (ma non troppo) per un’industria hollywoodiana che mette in scena (e fagocita) mirabilmente sé stessa e le sue contraddizioni.

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