One day: la lunga Odissea del quotidiano

 
 

Ogni storia necessita di un mezzo e di un formato che la valorizzi e ne esprima le potenzialità. One day, il romanzo di David Nicholls, dopo aver riscosso un gran successo ed essere diventato bestseller, aveva raddoppiato la sua fortuna grazie all’adattamento cinematografico del 2011, diretto da Lone Scherfig, con protagonisti Jim Sturgess e Anne Hathaway. Un adattamento seriale ordinato da Netflix sembrava, dunque, un azzardo, soprattutto a seguito dell’appiattimento generale e della discutibile qualità degli ultimi nati approdati sulla piattaforma. Invece, qualcosa di inatteso è accaduto…

One day segue la crescita, la trasformazione e la coronazione di un rapporto di amicizia, quello di Emma Morley e Dexter Mayhew, due ventenni che si incontrano la sera della festa di laurea, il 15 luglio del 1988. Da una mancata notte di sesso prende il via una relazione che si trasformerà in amore, scandita attraverso gli incontri o le lontananze di ogni 15 luglio dei venti anni successivi. Un giorno che cambia la vita – nel bene e nel male –, un giorno che serve per raccontare i mutamenti di un anno intero. Per la letteratura una grande prova di stile e abilità, per le immagini, il rischio di un’istantanea bidimensionale e superficiale. Ed era così, infatti, che il film di Scherfig, nonostante il successo di pubblico, si era dimostrato: un instant movie furbo e accattivante nella sua veste di mélo contemporaneo. La serie Netflix, in quattordici episodi, una lunghezza insolita per questo genere di prodotto, sfruttando visi semisconosciuti (Ambika Mod e Leo Woodall) ed entrando nella dinamica del romanzo e della narrazione episodica, ha fatto un piccolo miracolo, ha dato spessore, forza e dinamismo al cammino di Emma e Dexter, alla loro ricerca del sé e della propria strada. Ogni episodio corrisponde ad un preciso 15 luglio, ad eccezione degli ultimi due che condensano più annate, senza perdere il brio, la puntualità e la capacità di riassumere senza tralasciare. Non ci sono buchi o falle nella sceneggiatura, il lasso di tempo che intercorre tra ogni “appuntamento” di Em e Dex si regge su una ellissi funzionale che viene colmata dai gesti, dalle parole, dalle attitudini dei protagonisti che corrono spensierati o si trascinano stremati, appesantiti dall’insoddisfazione, dalle dipendenze, dalle incombenze, o alleggeriti dai successi, dalle seconde possibilità e dalla saggezza che il passare degli anni deposita sui loro corpi, esteticamente immutati, se non per i dettagli delle mode passeggere, ma interiormente in continua evoluzione nel tentativo di appropriarsi e far pace con le proprie fragilità e i propri sentimenti.

One day, in ogni sua forma si dimostra un classico contemporaneo che affronta gli ostacoli e le contraddizioni di volersi fare strada in una società giudicante che sprona e inneggia alla notorietà per poi ritorcerla contro  chi non la sa reggere. Dexter, intraprendente e libertino, afferra i grandi treni della vita senza guardarsi indietro, diventa un personaggio pubblico eccessivo e sguaiato, Emma, invece, tentenna troppo e rimanda a tempi migliori la prospettiva di dedicarsi alla scrittura. E’ proprio la complementarità delle indoli dei ragazzi a unirli, a farli rimanere a galla, anche durante le fasi di distacco, o quando la vita prende pieghe inaspettate o irreversibili, ad aprire un varco sempre più consistente nella possibilità di un futuro insieme, di una completa realizzazione senza limiti di classe, di ambizione o di collocazione spaziotemporale. Ciò che la serie riesce ad esaltare è la grandezza della normalità, il valore delle piccole cose, della presenza che intesse e intreccia fili anche quando sembra ferma e irremovibile: la complessità delle personalità affini, perse in un labirinto di incontri collaterali, emerge e straripa senza mai superare i limiti della comprensione, dando vita a un’odissea del quotidiano che non ha porti sicuri se non nell’incontro e nel ripercorrere il ricordo di ciò che di bello c’è stato.

In One day non vi è dunque grandiosità o effetti straordinari, colpi di scena continui, manipolazione o distorsione della percezione, solo la “pulita” semplicità della vita che scorre e che riflette su se stessa: una storia da cinema indipendente che va incontro, scontrandosi, alle esigenze e allo sguardo bramoso e incontentabile del pubblico mainstream che vuole di più con il minimo sforzo e che deve confrontarsi con un minutaggio irrisorio (tra i 20 e i 30 minuti a episodio) spalmato su un arco narrativo più ampio della media. Una prova e allo stesso tempo un escamotage per non tradire e non deludere l’opera (nonostante ci siano delle differenze temporali) e il pubblico di fedelissimi che non vedeva l’ora di puntare il dito contro quell’operazione idealmente sbagliata, che invece mescola sorrisi e lacrime nel raccontare la strana e irrazionale bellezza del giorno che corrisponde all’intera vita.

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