Miu Miu Women’s Tales: l’apoteosi del fashion film

 
 

Nel 2017 esce nelle sale Il filo nascosto di Paul Thomas Anderson, uno degli omaggi più sublimi che la settima arte abbia dedicato al mondo nella moda. Nello stesso anno i due cortometraggi  di Chloë Sevigny e Celia Rowlson-Hall segnano un punto di svolta nella storia dei Women’s Tales, iniziativa promossa dal brand Miu Miu nel 2011, che prevede che ogni anno due registe firmino per la casa di moda un fashion film a testa.

Ma facciamo un passo indietro. Prima di tutto è necessario capire a che cosa ci si riferisca quando si parla di fashion film. Fin dai suoi primi anni il cinema ha potuto vantare un legame particolarmente stretto con la moda, basti pensare all’attenzione maniacale con cui Lyda Borelli sceglieva i costumi con cui farsi immortalare su pellicola, tanto da arrivare a consacrare il celebre abito Delphos di Mariano Fortuny, sfoggiato dalla diva in Rapsodia Satanica (Nino Oxilia, 1917). La moda è spesso diventata la protagonista stessa di molti film, sia con storie fittizie ambientate nel mondo dell’haute couture (come in Cenerentola a Parigi, film di Stanley Donen del 1957, con l’indimenticabile Audrey Hepburn al fianco di Fred Astaire, e Il diavolo veste Prada, cult del 2006), sia con biopic sulle leggende della moda (e qui i titoli si sprecano, da Coco avant Chanel a Saint Laurent, fino alla più recente miniserie Apple, The New Look).

Tuttavia questi titoli non possono essere considerati dei fashion film veri e propri, sebbene ruotino intorno al mondo della moda e in alcuni casi si fondino sulla storia stessa di un brand. Il termine fashion film, così come è andato a codificarsi negli anni, si riferisce specificamente a un prodotto audiovisivo, normalmente un cortometraggio, che viene prodotto su commissione, o comunque con un apporto finanziario preponderante, di un brand di moda. Così definito si potrebbe pensare che il fashion film sia una sorta di spot pubblicitario nobilitato, ma, nonostante le ragioni di marketing, il fashion film può a tutti gli effetti assurgere allo status di vera e propria arte. 

Negli anni molti autori di incontestabile valore si sono cimentati nella produzione di questo tipo di prodotto: Luca Guadagnino firma per Valentino il mediometraggio The Staggering Girl nel 2019, con protagonista Julianne Moore; nel 2021 Matteo Garrone collabora con Dior per Le Mythe Dior; Strange Way of Life nel 2023 vede Ethan Hawke e Pedro Pascal diretti da Pedro Almodóvar per Saint-Laurent. Prada poi vanta collaborazioni di tutto rispetto, a partire da A Therapy del 2012, in cui Roman Polański dirige Ben Kinglsey e Helena Bonham Carter, fino all’allegorico Touch of Crude di  Nicolas Winding Refn, senza dimenticare Castello Cavalcanti del 2013, prova di stile di Wes Anderson. 

Miuccia Prada mostra un sincero e spiccato interesse per le opportunità offerte dall’audiovisivo. Un esempio paradigmatico è la web serie The Postman Dreams, firmata da Autumn de Wilde, regista dell’irriverente Emma, film del 2020 che vede Anya Taylor-Joy vestire i (sofisticatissimi) panni pastello della celebre eroina austeniana. Ma il progetto più ambizioso della stilista nel campo del cinema è rappresentato da Women’s Tales, che intende promuovere lo sguardo femminile attraverso la produzione di due cortometraggi all’anno, firmati da registe più o meno conosciute. L’unico vincolo è quello di inserire nel film alcuni capi della collezione stagionale di Miu Miu, brand sussidiario di Prada (il nome stesso della marca deriva dal nomignolo d’infanzia della fondatrice). 

Ad oggi sono stati realizzati ben ventisette cortometraggi, firmati da altrettante registe. Se si segue l’evoluzione dei film sin dal primissimo (The Powder Room, Zoe Cassavetes, 2011), si potrà osservare l’evoluzione del progetto e la progressiva presa di consapevolezza delle possibilità espressive del dispositivo fashion film. Se i primi cortometraggi hanno una durata molto ridotta e per lo più si attengono alle convenzioni della comunicazione pubblicitaria, via via che gli anni passano si riscontrano delle derive più sperimentali e surreali. Un primo momento di svolta avviene nel 2015, anno che vede la collaborazione di Miu Miu con due grandi registe: Alice Rohrwacher con De Djess (surreale parabola di un vestito antropomorfizzato che sceglie la propria padrona) e Les 3 boutons di Agnès Varda (una fiaba moderna che segue la giovane protagonista nella scoperta di sé). 

Ma è il 2017 il vero spartiacque, con Carmen di Chloë Sevigny, che segue uno spaccato di vita della stand up comedian Carmen Lynch, e (The [End) of History Illusion] di Celia Rowlson-Hall, che inscena una perturbante e coloratissima distopia post-atomica. Questi due cortometraggi delineano due strade particolarmente proficue per i Women’s Tales: da un lato una narrazione che parte dal reale, molto intimista, dall’altro le possibilità del racconto surreale. La prima via è quella percorsa in Brigitte (Lynne Ramsay, 2019), documentario in bianco e nero sulla fotografa Brigitte Lacombe, e poi, in maniera ancora più personale, da Mati Diop in In My Room (2020), che unisce alle immagini girate dalla regista durante la pandemia le registrazioni audio delle conversazioni con sua nonna, prima che questa morisse. Reale e surreale si mischiano invece in Carta a mi madre para mi hijo (Lettera a mia madre per mio figlio, Carla Simón, 2022), in cui riprese in Super 8 della regista incinta e della quotidianità della sua famiglia si alternano a scene inventate della vita della defunta madre dell’autrice, dall’infanzia alla vecchiaia. 

Il progetto di Women’s Tales nasce con il dichiarato intento di dare un’opportunità a registe famose o emergenti di raccontare la loro storia “con uno sguardo critico sulla femminilità nel XXI secolo”. Sebbene alcuni di questi esiti, soprattutto nelle fasi iniziali, abbiano sofferto del vincolo dell’utilizzo degli abiti Miu Miu, ottenendo prodotti troppo vicini al mondo pubblicitario oppure creando degli effetti di forzatura, la maggior parte delle opere di Women’s Tales è perfettamente riuscita nello scopo di esplorare l’esperienza femminile attraverso molteplici punti di vista, dalle narrazioni più distopiche a quelle più intimiste, senza tirarsi indietro dall’affrontare tematiche importanti. Nella realtà attuale, in cui il cortometraggio è un formato sempre più difficile da finanziare, il dispositivo del fashion film è una risorsa particolarmente preziosa. Soprattutto quando il progetto ha un valore artistico e una libertà creativa pari a quelli forniti da Miu Miu per Women’s Tales.

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