Squid Game: La sfida - Un gioco estremo per un premio da record

Con la spinta propulsiva del successo di Squid Game era inevitabile la nascita di una serie di prodotti derivati per monetizzare il più possibile il brand. Tra questi Netflix presenta il reality competitivo Squid Game: la sfida, prodotto da Stephen Lambert (produttore anche di Undercover Boss, Gogglebox e tante altre serie di successo). Visto l’entusiasmo derivante dall’uscita della seconda stagione ho deciso di andare a vedere di che cosa si trattasse per capire se era davvero possibile riproporre il gioco del calamaro nel mondo reale.

Bisogna dire che la produzione ha fatto le cose in grande perché, esattamente come nel gioco, la posta in gioco è di 4,56 milioni… però di dollari! Si tratta della seconda cifra più alta messa in palio nella storia dei game show. Eppure solo questo non è certamente un modo per attirare effettivamente il pubblico perché un reality ha bisogno di creare una sua narrazione, di avere dei personaggi che entrano nel cuore degli spettatori e di spingere a vedere le puntate successive. La mole incredibile di partecipanti, 456, e la modalità di fruizione in streaming rischiavano di minare la fruibilità del prodotto. In questo frangente chi ha pensato questo prodotto ha decisamente lavorato bene. Intanto gli episodi sono stati rilasciati in blocchi: le puntate dalla 1 alla 5 per prime, quelle dalla 6 alla 10 dopo una settimana e, infine, la finale nella settimana successiva. Un’altra trovata molto intelligente è stata quella di dare visibilità di volta in volta a concorrenti diversi i quali venivano poi eliminati piano piano lasciando spazio ad altri che proseguivano il gioco. Con questo espediente lo spettatore conosceva di volta in volta storie e partecipanti differenti a cui poteva un minimo affezionarsi (o che poteva odiare!!!) per poi ritrovarsi a fare i conti con la sua eliminazione. Se ve lo state chiedendo i personaggi non vengono eliminati fisicamente, ma vengono simbolicamente colpiti con un proiettile di vernice stile paintball. 

A livello di giochi la produzione è stata brava ad inframezzare quelli presenti nella serie con altri creati ex novo allo scopo di rendere più dura la vita ai concorrenti. La sensazione è che, nella maggioranza dei casi, a fare da padrone sia però il caso in quanto diverse situazioni sono sostanzialmente randomiche (premere un tasto, lanciare un dado e così via). A creare ancora più confusione ci sono degli intermezzi in cui altri concorrenti possono decidere se eliminare o dare l’immunità ad altri partecipanti. In sostanza la migliore delle strategie sembra essere quella di mantenere il più possibile un basso profilo per poi alzare la testa nel finale.

La parte più interessante di Squid Game: la sfida è quella in cui i partecipanti non si mettono d’accordo. Più volte le indecisioni o gli scontri hanno portato i concorrenti ad autoeliminarsi perché il tempo limite era stato superato. La mia mente malpensante ha immaginato anche risse non mostrate, ma questa è una mia cattiveria gratuita. In questo reality non esistono giudici né persone che dall’esterno con il loro voto influenzano lo svolgimento della gara. Sono i giocatori stessi che, volenti o nolenti, si mettono di volta in volta nella condizione di essere eliminati o meno. La somma messa in palio è estremamente alta e i vari partecipanti utilizzano delle strategie che pensano possano farli avvicinare il più possibile alla cifra che cambierebbe le loro vite. In linea con le classiche produzioni anglofone (Squid Game: la sfida è britannico ma è palesemente influenzato da uno standard americano), i personaggi che vengono messi in evidenza dalla produzione hanno tutti una storia strappalacrime e un passato difficile. Dopo i primi momenti in cui la competizione sembra andare verso una deriva astiosa, si passa poi a un momento più distensivo, in cui i pochi partecipanti rimasti decidono di collaborare per poter avere maggiori possibilità di farcela. Sul finale però, l’avidità prende decisamente il sopravvento e alcuni dei concorrenti mostrano lati decisamente meno amorevoli. Alla fine, purtroppo, il vincitore deve essere uno e di fronte al vil denaro non si guarda in faccia nessuno. Ancora una volta il capitalismo ha vinto e, visto il successo clamoroso di visualizzazioni, è già in produzione la seconda stagione.

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