Zorro: decostruzione di un mito
Dalla penna di McCulley al fascino di Antonio Banderas, passando per Douglas Fairbanks e Alain Delon. Zorro ne ha fatta di strada in più di cento anni, confermandosi, anche grazie alla produzione televisiva del 1957, uno dei personaggi più amati dal pubblico di ogni era. Cosa si potrebbe, dunque, ancora dire sul vigilante mascherato che scorrazza in groppa al fedele Tornado, e lascia Z come firma sulla divisa del Sergente Garcia? Una domanda che Benjamin Charbit e il suo team si devono essere posti prima di proporre un nuovo adattamento, una domanda a cui hanno trovato una risposta originale e vincente.
Da vent’anni Zorro è sparito nel nulla e Los Angeles l’ha dimenticato. In seguito alla morte di Don Alejandro de la Vega (André Dussollier), l’incarico di alcalde passa in eredità al figlio Diego (Jean Dujardin), impacciato e poco carismatico, a cui il popolo della città non ha intenzione di dare retta. Trova dunque terreno fertile la mossa speculativa dello spietato Don Emmanuel (Erico Elmosnino) che giunge a schiavizzare i nativi e a derubare i concittadini. Per Zorro è il momento di tornare e di fare i conti con le complicazioni amorose che insorgeranno con Gabriela de la Vega (Audrey Dana), la moglie insoddisfatta di Diego.
Diego e Zorro, facce della stessa medaglia che mai si pestano i piedi, almeno fino ad oggi. Lo Zorro francese è tutto giocato sull’imprevisto, sul malinteso e sulla duplicità di un personaggio mitico. I cliché di Zorro vengono completamente scardinati e sovvertiti: non è così intraprendente e latin lover, è pasticcione, ambizioso, frivolo ed insicuro, tanto da prestarsi a recitare la parte di se stesso pur di essere amato, pur di ottenere anche il consenso e la fiducia che nessuno ripone in Diego. È una lotta comica e logorante quella che tormenta interiormente il nostro protagonista, innamoratissimo della moglie alla ricerca del brivido della novità, e sempre smosso dal desiderio di giustizia che non può mai essere appagato, poiché anche la violenza e l’efferatezza del crimine nella sua Los Angeles si sono tinte di grottesco. Viene dunque abilmente messo in scena dal divertente e abilissimo Dujardin un continuo dentro e fuori dal personaggio, un ballo sgangherato che confonde e diverte portando a riflettere su ciò che il mondo si aspetta dai personaggi pubblici e su come il loro ruolo di “eroi” possa essere una finzione, una precaria ricerca di equilibri. E allora non stupisce che i vendicatori mascherati si moltiplichino tra millantatori, donne ferite, sconosciuti giunti da lontano, e sergenti Garcia depressi e privi di scopi. Chiunque può essere un eroe per una frazione di secondo, benché abbia contezza delle conseguenze e sappia rattoppare gli strappi delle proprie azioni maldestre.
Seppur parodica, la serie francese si divincola intelligentemente dalle retoriche e le ingenuità in cui incorre un intreccio a tratti un po’ troppo strampalato e sopra le righe: ci riesce perché sa come e quando spostare il focus su un dettaglio che da trascurabile viene promosso ad essenziale. La serie non perde il suo spirito comico e leggero, ma lo fa senza mai cadere nell’imbarazzo della risata fine a se stessa. La riflessione la frecciatina verso l’attualità è sempre dietro l’angolo, sia che si tratti di politica, di parità di genere o di rispetto ambientale. È un prodotto francese, lo si coglie dall’abilità con cui un genere compenetra l’altro, senza mai prendersi sul serio ma neppure ridursi a uno stereotipo. Francesissima, sì, ma con una punta di italianità portata dal Bernardo di Salvatore Ficarra che sveste i panni del siciliano stereotipato per indossare quelli di un saggio domestico muto senza cui Zorro e i suoi sosia finirebbero dritti dietro le sbarre.
Zorro è forse la più inattesa delle sorprese targate Paramount+ di fine 2024, e non ci sono scuse per perdersela, neppure l’assenza di tempo perché ogni episodio non supera i trentacinque minuti e sa come mettere di buon umore senza cadere nella nostalgia di un mito legato all’infanzia o alla giovinezza.