The Idol: l’idolatria della provocazione
La nuova serie firmata HBO è da poco terminata lasciandosi dietro una scia di polemiche non indifferente. Dagli articoli della critica più efferata sino ai commenti sui social degli spettatori occasionali, The Idol è passata sulla bocca di tutti e non per i motivi auspicati dagli ideatori Sam Levinson e Abel Tesfaye (meglio conosciuto col nome d’arte The Weeknd). D’altronde già la vicenda produttiva della serie ha dovuto districarsi tra diverse criticità. Prima tra queste, l’abbandono del progetto da parte della regista e sceneggiatrice Amy Seimetz dopo alcuni screzi con Tesfaye, malcontento della preponderante prospettiva femminile adottata nella sceneggiatura. Il testimone è quindi passato a Levinson (già ideatore dello show Euphoria), il quale avrebbe deciso di riscrivere e girare nuovamente gran parte di una serie già in dirittura d’arrivo.
Il repentino cambio di direzione dietro le quinte si riflette sulla serie, originariamente pensata per essere un’aspra satira nei confronti dello star system nel mondo della musica e che, specialmente dal terzo episodio in poi, si trasforma in una storia d’amore tossica e contorta costellata di sesso, violenza e manipolazione. La protagonista è Jocelyn (interpretata da Lily-Rose Depp), giovane pop star sulla soglia del suo ritorno sotto i riflettori dopo un anno difficile in cui ha affrontato la morte della madre e un conseguente crollo nervoso. La ragazza vive nella sua lussuosa villa circondata da assistenti, manager e collaboratori, il cui rapporto con lei oscilla indefinito tra il professionale e l’amorevole. Diventa così difficile distinguere chi vuole veramente il suo bene o, in primis, se qualcuno di loro possa anche solo immaginare di metterlo prima della sua carriera. Soffocata dalle aspettative del suo entourage, Jocelyn si rifugia nel buio di un nightclub dove conoscere il losco e misterioso gestore Tedros (Abel Tesfaye), verso cui nasce un’immediata attrazione.
L’interpretazione del cantante lascia però a desiderare, e la sensualità cantata spesso e volentieri nei suoi testi lascia spazio ad un incerto tentativo di seduzione di Jocelyn (e quindi del pubblico) reso ancora più difficile dalla parrucca diventata presto protagonista di numerosi meme online. Tedros è un personaggio detestabile fin dal primo istante sullo schermo, ma affidato alle mani di un attore non professionista manca l’intento di essere percepito come pericoloso e magnetico, risultando il più delle volte ridicolo ed isterico. In ogni caso, l’uomo riesce a penetrare nella villa (e nella vita) di Jocelyn, diventando il fulcro di ogni decisione, artistica e non, compiuta dalla ragazza, inspiegabilmente lasciata in balia di Tedros dal suo team.
Insieme a lui anche gli adepti della sua setta di talenti musicali mettono radici in casa della pop star, in cerca dell’opportunità della vita: quella di farsi sentire da chi conta davvero. Il talentuoso ed ampio cast di personaggi secondari non basta però a riempire il vuoto narrativo che la serie presenta dal terzo episodio in avanti. Se nei primi due la visione originaria di Seimetz riesce infatti ancora a trasparire grazie a lunghe sequenze dinamiche e cariche di tensione drammatica, dal terzo episodio in poi The Idol diventa più simile ad una sequenza di scandalosi clip musicali che ad una serie coesa e coerente. In particolar modo, il grande talento di Rachel Sennott (protagonista di Shiva Baby) è sprecato nel dar vita al personaggio dell’assistente personale di Jocelyn. Colei che dovrebbe rappresentare la “bocca della verità” in mezzo alla messinscena di Tedros ne resta invece a sua volta soggiogata, rimanendo passiva, frustrata e ammansita grazie alle attenzioni di un bel ragazzo.
L’ossessiva ricerca dello scandalo e della “provocazione” soffoca ogni (debole) tentativo di The Idol di raccontare qualcosa al suo pubblico. Quella stessa estetizzazione della violenza e del disagio psicologico diventata una cifra stilistica di Levinson dopo l’enorme successo di Euphoria non trova qui giustificazione al di fuori del voler scandalizzare chi guarda. Gli ideatori hanno cercato di schivare le numerose critiche relative all’iper-sessualizzazione di Lily-Rose Depp e all’inserimento di violenza ingiustificata appellandosi alla mentalità bigotta di critica e pubblico. Il problema, però, non sta mai nel mero inserimento di elementi espliciti, quanto nell’incapacità del regista e/o sceneggiatore di utilizzarli in maniera costruttiva e necessaria per la storia.
Ad aggravare l’eccessivo desiderio di creare un prodotto “controverso” prima che significativo e profondo arriva la rivelazione finale. In un episodio conclusivo anticipato di due puntate in cui ogni dinamica si ribalta repentinamente (a prescindere da ogni logica o motivazione), Jocelyn passa dall’essere vittima del rapporto tossico e manipolatorio con Tedros a burattinaia contorta di tutta la vicenda. Sarebbe infatti lei ad aver lasciato credere all’uomo di avere totale controllo sulla sua vita (arrivando anche ad accettare una violenza fisica sistemica su lei e gli altri adepti di Tedros) per sfruttare il suo talento di agente e producer a suo favore. L’innocente diventa così una sorta di femme fatale e l’aguzzino cerca la nostra pietà nella sua nuova veste di ingannato. Pietà che però non arriva dato che le colpe di cui si è macchiato non possono essere cancellate da questo inatteso quanto forzato ribaltamento di prospettiva.
The Idol è riuscito così a diventare ciò che, in origine, voleva satiricamente denunciare: il prodotto scadente di un’industria ancora incapace di compiere una critica onesta su sé stessa, che si rifugia nelle vecchie narrative di sempre e che fa trionfare, per l’ennesima volta, il male gaze sopra una narrativa femminile.