The Veil: le identità dissonanti e il talento di Elisabeth Moss

 
 

Dal rapporto di fiducia tra due donne cresciute e affermatesi nella dissimulazione dipende la sorte del mondo occidentale: The Veil, la nuova serie ideata da Steven Knight, approdata da poche settimane su Disney+, utilizza il pretesto di un imminente attacco terroristico per indagare le verità e le molteplici identità di due donne che, seppur ideologicamente lontane, sembrano essere complementari.

Imogen (Elisabeth Moss) è una delle più brillanti e attive agenti dell’MI6 che, in accordo con l’intelligence francese e con la CIA, ha il compito di riportare a Parigi Adilah El Idrissi (Yumma Marwan), donna sospettata di essere un temibile comandante dell’ISIS. Nel corso del loro viaggio dalla Siria, e poi attraverso una Parigi blindata, si snoda il vissuto di due eroine – o antieroine – che non si lasciano mettere all’angolo dalle convenzioni e dalle alte uniformi.

Sono le identità fugaci e imprendibili di Imogen e Adilah, il loro raccontarsi verità dolorose attraverso bugie fantasiose, ad essere il motore dell’azione di una serie che è thriller solo nel momento del bisogno, quello in cui è necessario dare al pubblico ciò che desidera. Prendendo a modello Shakespeare, che le due protagoniste spesso citano, Knight usa lo stesso espediente del Bardo: raccontare la tragedia umana inserendola tra tutti quegli elementi di intrattenimento che coinvolgono lo spettatore e lo tengono incollato alla narrazione. Tra qualche colpo di pistola, le fughe tra la folla e le azioni impulsive di agenti dell’intelligence arroganti e misogini, vengono alla luce le cicatrici, i fantasmi e le fragilità di guerriere  dalla corazza e dalle maschere infrangibili. Adilah ha una figlia da proteggere e da portare in salvo ed è per lei che immagina di poter compiere i crimini più atroci, mentre Imogen, tra i flash di un passato di morte, manipolazione e tradimenti prova a elaborare un doppio lutto. The Veil, dunque, lavora su due fronti e mostra come una tragedia universale possa dipendere unicamente da quelle private di persone qualunque che sanno nascondersi negli anfratti bui delle loro menzogne e in quelli delle città tentacolari, ma anche prendere a calci chiunque interferisca e lavori per distruggere i loro piani. Nell’era in cui la serialità dà spazio a donne forti che non hanno bisogno di principi azzurri o di James Bond ai quali aggrapparsi, Knight sfrutta l’occasione per tratteggiare i contorni e dar voce a due donne irresistibilmente misteriose, ironiche, sottili, che si rivelano essere il pilastro che tiene insieme una vicenda di sfondo poco originale, ripetitiva, imballata negli stessi ingranaggi che dovrebbero metterla in moto. Imogen e Adilah crescono, episodio dopo episodio, imparando a gestire i loro impulsi calcolatori, a rompere il gelo delle loro menti e dei loro cuori, inariditi dalle difficoltà che hanno saputo superare con fermezza, arriveranno a confessare e ad affrontare i demoni interiori che hanno autonomamente fomentato con le scelte sbagliate, gli stessi che le hanno tenute in vita – come dice l’epitaffio sulla lapide di Jim Morrison presso cui le donne si danno appuntamento. La loro impetuosa tenacia, la loro corporea presenza sulla scena diventa corpo dello stesso thrilling, avendo il sopravvento.

Il più grande e innegabile merito di The Veil è quello di aver aggiunto un tassello importante alla carriera di Moss, da tutti ricordata per la sua iconica June ne Il racconto dell’ancella. Un personaggio agli antipodi, tutta d’un pezzo, giocato sulle sfumature, sulla tensione, sulla sfida costante di uno sguardo che mai si abbassa e non conosce atti remissivi. Imogen sia nel dialogo che nell’azione usa ogni istante sulla scena per creare ambiguità tagliente e seduttiva, spiazzando e facendosi amare per la sua franca e ruvida tenacia. È così, grazie ad una performance, che una miniserie riuscita a metà riesce ad avere una visibilità e un’attenzione  che altrimenti non avrebbe avuto, nonostante il celebre e altisonante nome del suo creatore, qui lontanissimo dalla grandezza di Peaky Blinders.

Indietro
Indietro

La nostalgia nelle serie revival: il piacere di tornare a “casa”

Avanti
Avanti

Gomorra: dieci anni dopo