Crime e True Crime: la gallina dalle uova d’oro dello streaming
Negli ultimi anni, il crime e il true crime hanno letteralmente dominato i cataloghi delle piattaforme di streaming. Non c’è dubbio che crimini intricati, menti deviate e indagini sospese tra la realtà e la finzione ci attraggono come il miele per le api. Che sia Netflix, Prime Video, Sky o qualsiasi altra piattaforma, è chiaro che, se ci vogliono tenere incollati allo schermo, devono offrirci crimini, misteri e una buona dose di suspense. Ma, a furia di servirci omicidi a raffica, non c'è forse il rischio che queste piattaforme stiano finendo per proporci sempre lo stesso piatto, solo riscaldato?
Me lo chiedo, e lo chiedo anche a voi, perché quando un genere esplode e diventa mainstream, si rischia sempre di entrare in una dinamica di ripetizione. È successo con i film horror negli anni ’80, è successo con i film d’azione negli anni ’90, e oggi sta succedendo con il true crime. Quando un format funziona, viene spremuto fino all'osso. Questo non significa necessariamente che la ripetizione sia sempre un male – anzi, a volte una buona dose di familiarità fa piacere – ma il rischio è che l’originalità vada a farsi benedire. E, nel caso del crime, c’è un ulteriore pericolo: a forza di vedere rappresentazioni sempre uguali della violenza e del male, rischiamo di diventare insensibili. Siamo così abituati a vedere omicidi sullo schermo che finiamo per banalizzare il male stesso, quasi fosse una routine.
Non fraintendetemi, non sto dicendo che il genere crime sia da condannare in toto. Ci sono ancora capolavori che riescono a emergere dal mare magnum di contenuti tutti uguali. Pensate a Mindhunter, criminalmente interrotta dopo la seconda stagione, che non si limita a mostrarci il crimine, ma ci porta nei meandri più oscuri della psiche dei killer, facendoci interrogare su cosa renda qualcuno un mostro. Oppure pensate a Unbelievable, una serie che mette al centro le vittime, non come semplici oggetti da investigare, ma come protagoniste della loro lotta per la giustizia. Qui, la narrazione non feticizza il dolore, ma lo esplora con rispetto e consapevolezza, offrendoci una riflessione profonda su temi come il trauma e la resilienza.
Nonostante queste eccezioni, dobbiamo però fare i conti con una realtà: le piattaforme di streaming hanno capito perfettamente come usare i nostri dati per darci esattamente quello che vogliamo. Netflix, Prime Video e compagnia bella riescono, grazie agli algoritmi, a capire cosa funziona e a sfornare contenuti che seguono lo stesso filone narrativo. Intrappolati in un loop infinito di serie crime che ci sembrano tutte uguali, dopo aver visto l’ennesima serie su un omicidio ci viene proposto un altro titolo simile. È come se l’algoritmo sapesse esattamente di cosa abbiamo bisogno per alimentare la nostra "ossessione" per il crimine.
E qui viene il punto cruciale: siamo semplici spettatori o complici attivi di questo sistema che trasforma il crime in intrattenimento? Non è una domanda da poco. Pensateci: continuare a guardare questi prodotti senza mai interrogarsi su cosa stiamo veramente consumando rischia di portarci a una banalizzazione della violenza, trasformando il dolore reale in un passatempo morboso. Non sto dicendo che dobbiamo smettere di guardare serie crime, per carità. Anche io sono un consumatore appassionato di Un giorno in pretura e Storie maledette, ma forse dovremmo chiederci fino a che punto siamo disposti a spingere questa ossessione. Fino a che punto accettiamo che il crimine, un tempo materia di riflessione morale e sociale, diventi semplicemente un altro “prodotto” da consumare senza pensieri?
Alla fine dei conti, il rischio è quello di perdere di vista la gravità reale di ciò che stiamo guardando. Certo, è facile farsi catturare dalla suspense e dalle narrazioni accattivanti, ma cosa succede quando il crimine diventa solo un altro clickbait? La domanda non è se il true crime sia intrattenimento, ma quale tipo di intrattenimento stia diventando. Forse dovremmo riflettere un po' di più su cosa significhi trasformare la violenza e il dolore in una forma di divertimento. E mentre ci interroghiamo, le piattaforme continuano a fare il loro lavoro, proponendoci l’ennesima serie di omicidi.