Twixt: un sogno lungo un gioco

 
 

Twixt nasce da un sogno che turba Francis Ford Coppola in quel di Istanbul e che inizia con un incontro, in una decadente struttura, tra il suo sguardo e quello di una giovane donna che si scopre essere un vampiro. Un onirico incipit che non può che diventare un film, l’ennesima rappresentazione immaginifica di segrete “proiezioni” dell’animo del regista statunitense, uno dei fautori della New Hollywood. La magnifica ossessione del cineasta di origini italiane è sempre stata quella di materializzare le proprie “visioni” imprimendole nella pellicola e nella memoria collettiva della settima arte, un ingegnoso artificio per fermare il “tempo interiore” per (s)piegarlo e per schiudere “le porte della percezione”.

Nel 2011, con una produzione low budget, sembrava che questa fosse l’ultima opera di Coppola, dato che aveva riposto nel cassetto il vagheggiato progetto di Megalopolis (che sarà realizzato ben 13 anni dopo). In verità Twixt ha le “apparenze” di un testamento spirituale (twx sono simboliche lettere in-croci-ate) e il titolo si ispira a un board game tra due contendenti il cui fine è connettere, con una sequenza di pedine, i due lati (rosso e nero) opposti dello schema di gioco, ostacolando progressivamente il passo avverso.

Questa coincidentia oppositorum, definita da due colori intensi e significativi (rosso/sangue e nero/morte), annulla la lotta tra forze contrarie (angeli e demoni come l’ambigua e diafana figura di V., una rabbrividente Elle Fanning, che si mostra in un inquietante splendore) in un campo di battaglia che si riempie di senso con la continua (ri)scrittura delle coordinate spazio-temporali per non scivolare ai bordi dell’abisso (horror vacui). “L’orrore ha un volto” (declamava il sulfureo colonnello Kurtz/Brando) e per il geniale metteur en scène di Detroit è il volto del figlio Gian Carlo, morto in un incidente nautico (dramma accennato anche nel sottovalutato Jack, altra riflessione sulla perdita dell’innocenza segnata dalla coscienza dell’inesorabile caducità dell’esistenza umana), vittima delle onde di un crudele destino. 

Il cinema è infinita elaborazione luttuosa e la sfida per “l’uomo con la macchina da presa” è filmare il limen, l’invisibile soglia che delinea il fatale trapasso (o il subconscio), e la notte con i suoi opachi contorni e primitive ombre. E quindi è commovente anche solo assistere a questa audace quanto sublime impresa che si esalta nello scorrere di location/set (da un tetro bosco a un “classico” hotel abbandonato) che accompagnano le avventure dello scrittore Hall Baltimore (un imbolsito ma persuasivo Val Kilmer), nel delirio di colori (un blu notturno che brilla al chiaro di una luna inventata da Méliès, macchie ematiche e fiamme scarlatte, un prezioso giallo dorato che riflette il nitore luminoso di una “lanterna magica”, sfumature di grigio dal taglio espressionista), e nella confusione di ore tra sonno e veglia (la fantastica torre dell’orologio con quadranti differenti, che si impone in una spettacolare ripresa in 3D per focalizzare i meccanismi).

A conferma di un cerchio che si chiude nella filmografia di Coppola (e che sorprendentemente si riapre nel 2024) Twixt rievoca le cupe ma variopinte atmosfere gotiche della Corman Factory (con il ciclo di Edgar Allan Poe) e dei suoi esordi, in particolare Terrore alla tredicesima ora (Dementia 13), caratterizzato da puberali fantasmi e psicotiche fragilità, da uno stile divertito e sperimentale tipico dei b-movie. Inoltre c’è il piacere ultimo della narrazione (affidata alla mefistofelica voce di Tom Waits, commento sonoro di One from the Heart, altro caleidoscopico capolavoro), che asseconda la musa ispiratrice e che si svela gradualmente a forma di un vertiginoso aenigma (sovrimpressioni e/o dissolvenze vanno a confondere le acque, da cui specularmente affiorano dolorose reminiscenze), palese ma impenetrabile.

Indietro
Indietro

Bodkin: in nomen omen

Avanti
Avanti

Enzo Jannacci: l’avvenire è un buco nero in fondo al tram