Witches: buona madre o strega?
A scuola Elizabeth Sankey imparò la storia delle migliaia di donne uccise nei processi alle streghe. Tre anni fa divenne madre. Nel giro di un mese, fu ricoverata in un reparto psichiatrico. Se fosse vissuta in quell’epoca, sarebbe stata considerata una strega, malvagia. Nel suo documentario Witches, disponibile su Mubi, la regista Elizabeth Sankey (Romantic Comedy) accompagna il pubblico attraverso una serie di incantesimi per parlare di un argomento ancora troppo poco conosciuto: le malattie mentali perinatali.
Una ricerca del 2022 mostra che spesso le donne non sono considerate narratrici attendibili della propria storia. Per questo, in merito a malanni o soglia del dolore, non vengono prese sul serio, vengono ignorate o semplicemente ritenute troppo “emotive”, soprattutto se appartenenti a minoranze etniche. Elizabeth Sankey si riappropria del diritto di narrare la condizione di sofferenza e difficoltà in cui le donne possono incorrere nel periodo durante e in seguito alla gravidanza e racconta di come ha affrontato la sua depressione perinatale. Alla propria storia personale si aggiungono le esperienze di tante altre donne che hanno attraversato un periodo simile. Da una parte c’è lo stigma legato alla maternità, che porta avanti l’immagine della madre che non prova mai stress, ma anzi è sempre gratificata e soddisfatta. Lo stereotipo opposto della buona madre e della buona moglie è rappresentato dalla figura della strega. Dall’altra parte si ha lo stigma della salute mentale: le donne hanno il terrore di esprimere la loro rabbia e follia per paura di essere giudicate, soffrendo spesso in silenzio con un terribile senso di colpa. Elizabeth Sankey collega questa vergogna al retaggio che hanno avuto i processi alle streghe, che hanno trasformato le donne in nemiche della società.
Nella rappresentazione di questo scontro fra lo stigma attorno alla maternità e quello legato alla salute mentale la regista si fa assistere da un folto archivio di materiale audiovisivo. Le clip, montate dalla regista stessa, accompagnano lo spettatore per tutta la durata del film, offrendo un apporto visivo alle testimonianze che vengono man mano narrate dalle donne intervistate. Gli estratti mostrano stampe antiche, pubblicità che esaltano l’immagine idealizzata della madre. Gran parte del materiale deriva, inoltre, da film che hanno in qualche modo a che fare con la gravidanza, con l’essere madri o con le malattie mentali. Il repertorio a cui si attinge la Sankey è vasto, si vedono piccoli estratti da Il mago di Oz di Victor Fleming (1939), Ragazze interrotte di James Mangold (1999), The Witch di Robert Eggers (2015), Rosemary’s Baby di Roman Polanski (1968), Un angelo alla mia tavola di Jane Campion (1990), solo per citarne alcuni. Sono spesso pochi secondi per clip, ma abbastanza per riecheggiare lo stato d’animo, l’atmosfera di ciò che si sta raccontando.
Grazie all’intervento di quella che lei chiama la propria “congrega” di streghe, composta da altre donne, perlopiù sconosciute, Elizabeth Sankey trova una via d’uscita. Ma il documentario lascia un grande interrogativo: perché, nonostante siano passati secoli dai processi alle streghe, c’è ancora così poca consapevolezza riguardo a queste malattie? Il documentario Witches affronta la tematica in maniera coraggiosa, audace, senza mezzi termini. Perché mentre Elizabeth Sankey è sopravvissuta, troppe non ce l’hanno fatta.