ACAB: la serie Netflix che vi porterà nel cuore del conflitto
Prima l’asfalto, poi il bosco fino al greto di un fiume: le grida, la paura che quella notte sia l’ultima, le botte e i peccati di gruppo lavati in una vasca piena di acqua e candeggina. Inizia così una delle serie italiane targata Netflix, ACAB, che si candida a essere uno dei titoli più rilevanti dell’anno.
Sequel dell’omonimo film del 2012, ACAB – acronimo di All cops are bastards, slogan nato nel Regno Unito negli anni ‘70 – vede Stefano Sollima, questa volta nelle vesti di produttore esecutivo, arricchire il progetto con una narrazione ancora più stratificata. Se il film era un pugno allo stomaco, la serie è una carezza ruvida che penetra sotto la pelle, portandoci oltre la superficie per esplorare le zone grigie del potere, della giustizia e della condizione umana.
La forza di ACAB risiede nella sua capacità di costringerci a porci domande scomode senza mai offrirci risposte facili. Non è una serie che consola, ma una che sfida. Tuttavia, non tutto è perfetto: le puntate centrali (la quarta e la quinta) mostrano qualche cedimento nella gestione degli intrecci secondari, con trame che faticano a mantenere lo stesso mordente del filone principale. Nonostante ciò, il risultato complessivo rimane potente e incisivo.
Un elemento che eleva la serie è senza dubbio il cast. Marco Giallini torna a vestire i panni di Ivano Valenti, detto “Mazinga”, con un’intensità impressionante che scava nell’anima del personaggio. Valentina Bellè è altrettanto memorabile: la sua performance oscilla tra fragilità e determinazione, incarnando con credibilità le contraddizioni di un ambiente cameratesco e machista. Adriano Giannini, nei panni del capo squadra “infame”, offre un’evoluzione di personaggio straordinariamente realistica, grazie alla sua capacità attoriale.
Anche l’aspetto visivo merita un plauso. La fotografia alterna sapientemente tinte fredde e crude a lampi di calore improvviso, amplificando i contrasti emotivi della storia. Le scelte registiche conferiscono ritmo e profondità emotiva a ogni scena, mentre la colonna sonora – un mix di brani originali e pezzi d’atmosfera – accompagna la tensione senza mai risultare invasiva.
Un elemento distintivo di ACAB è il suo tempismo: arriva nel pieno di un acceso dibattito sul ruolo delle forze dell’ordine e sulle tensioni sociali del nostro tempo. Le parole di un poliziotto in servizio a Bologna, riportate da Libero e Open, offrono un parallelo suggestivo con la realtà. Durante una manifestazione per Ramy Elgaml, il giovane morto a Milano il 24 novembre 2024 durante un inseguimento, il poliziotto dichiarò: “Non ho mai visto una cosa del genere. Non ho mai visto tavoli di ferro, sedie, contro di me. Ho visto i miei colleghi feriti: uno con una spalla lussata, un altro con un dente rotto, un terzo che dall’alba di domenica sente un fischio nell’orecchio: un bombone gli è esploso sotto i piedi. A me hanno lanciato una bottiglia in faccia… un conto è vederle, altro è starci in mezzo”.
Ecco, ACAB è forse il prodotto che più si avvicina a farci sentire “nel mezzo”. Non è solo una serie, ma un viaggio intenso che ci costringe a confrontarci con paure, pregiudizi e contraddizioni che spesso preferiremmo ignorare. Se avete amato le atmosfere di Suburra o siete rimasti affascinati dalla cruda poesia di Romanzo Criminale, ACAB è una tappa obbligata. Preparatevi a restare incollati allo schermo, perché questa serie continua a farvi domande ben oltre i titoli di coda. Perché, in fondo, nessuno è innocente.