Only Murders in the Building: sdoppiamenti e metanarratività
Nella quarta stagione di Only Murders in the Building il trio di podcaster dell’Arconia è alle prese con un nuovo caso. La vittima questa volta è Sazz Pataki, controfigura e amica di Charles che per questo si trova ad affrontare anche una complessa crisi etico-morale e spirituale. Lui è sempre stato “l’Uno” di Sazz, ma lei è stata molto di più per l’ex attore di Brazzos. Inoltre, Oliver e Mabel sono spaventati dall’idea che il vero bersaglio fosse proprio il loro amico.
Questa stagione è forse la più movimentata, sia in senso orizzontale che verticale. Sul piano spaziale, i protagonisti si spostano da New York a Hollywood, sia per indagare su Sazz che per firmare un importante contratto con una casa di produzione interessata a realizzare un film basato sul loro podcast. Sul piano temporale, invece, la narrazione si sviluppa con frequenti flashback e l'apparizione di “fantasmi” del presente, elementi già presenti nelle stagioni precedenti, ma qui riportati in modo più incisivo.
A rendere ancora più vivace questo intreccio narrativo e il caos organizzato che ne deriva è un ulteriore elemento chiave: il continuo gioco di specchi. Questo espediente amplifica la riflessione sui personaggi e sulle loro relazioni, arricchendo la trama di nuove sfumature e rimandi metatestuali.
Il doppio era un tema già presente in precedenza e a cui forse non era stato dato abbastanza spazio, o meglio, non era stato declinato in così tante maniere da diventare, non solo una caratteristica stilistica, ma un leitmotiv dominante con il proprio carattere e le sue declinazioni e evoluzioni. Infatti, una parte sostanziale della stagione è assegnata alla realizzazione del film hollywoodiano. Questo espediente drammaturgico permette alla vena schizoide di Only Murders in the Building di far convivere i suoi protagonisti non solo con un’identità sdoppiata, che alterna momenti di seria drammaticità a personaggi caricaturali delle loro carriere passate, ma anche di confrontarsi con i loro “doppioni” interpretati da Eva Longoria, Eugene Levy e Zach Galifianakis. La particolarità di questo approccio risiede nel fatto che questi ultimi interpretano sé stessi, con riferimenti ai lavori che li hanno resi celebri, ma anche la loro personale visione di Mabel, Charles e Oliver.
L’intero cast si trova così nella condizione di guardare a sé stesso come a un altro, creando un gioco metanarrativo che mantiene freschi e dinamici tutti e dieci gli episodi, senza mai scivolare nella ripetitività. I veri Mabel, Charles e Oliver continuano a muoversi e a comportarsi come nelle stagioni precedenti, ma con una nuova consapevolezza: riflettono sulle loro caratterizzazioni e su come vorrebbero che i loro personaggi fossero rappresentati in un film. Il confronto con il trio “alternativo” diventa inevitabile: questi ultimi ne evidenziano debolezze e difetti, proponendo correzioni e miglioramenti che mettono in discussione le loro scelte narrative e personali. Questo comporta che Mabel, Charles e Oliver diventino personaggi ancor più nevrotici in cerca, come sempre, di un loro spazio nel mondo, una comprensione che può arrivare solo attraverso una narrazione sempre più cinefila e accartocciata su sé stessa, alla ricerca di spunti nella storia del cinema.
Un altro livello di questa metanarratività si raggiunge verso la seconda parte della serie, quando il tema delle controfigure degli attori, in generale, assume più importanza. La scena del pub nel quale non sono ammessi “i Volti”, ma solo controfigure e anche quella del funerale di Sazz, al quale però dà presenza e volto Charles, il suo “Uno”, sono probabilmente i momenti cardine della quarta stagione. Proprio grazie a momenti complessi come questi è possibile guardare a Only Murders in the Building come un’opera che riflette su sé stessa, ma anche sul mondo dello spettacolo americano in generale. Inoltre, in questa stagione, emerge con forza una componente di critica sociale. Così diventa emblematica la velata denuncia delle interminabili attese per ricevere supporto dal 911, evidenziata sia all'inizio della serie che nell’ultimo episodio.
Comunque la serie non si limita più a raccontare un mistero, ma diventa essa stessa un’indagine sulle identità e sulle rappresentazioni, giocando con i confini tra realtà e finzione.