Squid Game 2: costruzione di una lotta contro il capitalismo e la società
Quanto costa fare una rivoluzione? Quali sacrifici bisogna fare?
Su Netflix è sbarcata l’attesissima seconda stagione di Squid Game. Fin dai primi momenti appare chiaro che si tratta di una stagione interlocutoria, che ha principalmente lo scopo di costruire dei temi che verranno sviluppati in quella successiva. La trama vede Seong Gi-hun che sguinzaglia una serie di criminali da strapazzo alla ricerca dell’uomo che lo aveva adescato per partecipare allo Squid Game. Il suo scopo è quello di entrare in contatto con il capo del gioco (il Front Man) e convincerlo o costringerlo a interromperlo definitivamente. Per farlo Seong Gi-hun deciderà di tornare sull’isola…
Tema di fondo di questa seconda stagione è sempre lo stesso: la critica al capitalismo che qui si arricchisce perché Seong Gi-hun si ritrova ora a cercare di combattere contro “il sistema” (qui l’articolo sui temi della prima stagione). Questa lotta si rivela però sempre più un combattere contro i mulini a vento perché le stesse vittime di questo meccanismo non vogliono uscirne. In questa stagione i parassiti non sono più solo schiavi volontari, ma diventano meschinamente difensori del sistema grazie a un abile stratagemma: qualora la maggioranza decidesse di lasciare il gioco la somma guadagnata non verrà più devoluta ai morti nel gioco, ma divisa equamente tra i sopravvissuti. Il capitalismo alimenta quindi la società dei reietti (o per usare le loro parole “dei rifiuti”) facendo loro annusare la droga che li ha portati a sprofondare nell’ingiusta società meritocratica: il denaro. Seong Gi-hun si ritrova quindi più volte a dover fare i conti con la propria coscienza, a dover addirittura valutare se la perdita di alcune vite può essere vantaggiosa al raggiungimento del suo scopo finale.
Con la seconda stagione di Squid Game Hwang Dong-hyuk cerca, a volte maldestramente, di estendere la critica sociale inserendo personaggi in linea con l’attualità. Qui emerge un po’ quella linea di confine tra prodotto creato avendo in mente l’occidente e prodotto comunque intriso di “coreanità”. Il personaggio forse più incomprensibile è la sciamana (mudang o mansin a Seoul) che rappresenta il legame con la religiosità antica coreana, l’esoterismo e la superstizione. I personaggi vanno poi dal rapper che ha partecipato a un talent show perdendo in finale, al giovane influencer che ha speculato con le criptovalute fino alla ex militare trans. Quest’ultima porta con sé un tema molto sentito dalla comunità LGBTQ+ della Corea del Sud, che è, sfortunatamente, un paese estremamente omofobico e transfobico. La società coreana tende, in generale, ad escludere chi viene percepito come diverso e infatti Hyun-ju viene disconosciuta dal padre e perde il suo lavoro come militare. Esclusa e impossibilitata a trovare lavoro, Hyun-ju si ritrova ad indebitarsi per sopravvivere e per portare avanti la transizione che la farà finalmente essere a suo agio in un corpo che non la rappresenta. Se il personaggio di Hyun-ju, al di là delle polemiche anti-woke, è probabilmente quello più delineato e riuscito, non è altrettanto vera la stessa cosa per tanti altri personaggi di questa seconda stagione. Anche un personaggio potenzialmente interessante come quello di Park Gyu-young, nord coreana (come Kang Sae-byeok) alla ricerca del figlio perduto che si arruola tra i “triangoli”, non viene quasi per nulla sfruttato, lasciandolo evidentemente in serbo per la terza stagione. Hwang Dong-hyuk mantiene quella linea stridente in cui la violenza efferata si alterna a momenti comici, che però qui sono molto più macchiettistici e tendenti al cringe rispetto alla prima stagione. Il clima, in generale, è decisamente più cupo e questo rende il contrasto ancora più stridente.
A livello di linea narrativa la seconda stagione di Squid Game è ancora più prevedibile e scontata rispetto alla prima e non mancano incoerenze di fondo. Eppure l’originalità non è mai stata il punto di forza della serie, che ha saputo ritagliarsi il suo spazio nel cuore degli spettatori per motivi diversi legati anche al tempismo di uscita. Faranno piacere ai fan alcuni elementi strizzano l’occhio alla prima stagione, come l’opposizione tra il numero 001 e il numero 456 o alcune frasi e situazioni volutamente riproposte uguali identiche. Alla fine di tutto è difficile dare una valutazione alla serie proprio per il suo essere di preparazione a quello che, si spera, possa essere il gran finale. Non ci resta che attendere il 2025 e scoprire cosa ne sarà di Seong Gi-hun e della sua lotta contro i mulini a vento.